Giovanni Korallo è nato a Lecce nel 1938,ha frequentato l'Istituto d'Arte e l'Accademia di Belle della stessa città e inizia la sua attività nel 1960. Nel 1964 aderisce ad un Gruppo di tendenza pop-neodada e successivamente si occupa di poesia visuale, del Centro Culturale "Gramma", di fotografia e di insegnamento presso il Liceo Artistico della sua città.
E' negli anni Ottanta che Korallo si dedica interamente alla pittura facendo mostre personali in tutto il mondo: "Italian Renaissence"(Dallas-USA 1987), "Steiemarksches Joanneum Museum" (Graz-Austria 1990), "Interior con señora" (Madrid e Bilbao-Spagna 1992), "Cenando en casa del Sevillano" (Istituto Italiano di Cultura - Madrid 1994), "Feira Internacional de Arte" (Nizza 1997), "Wilde & Korallo"( col patrocinio dell'Università degli Studi di Lecce-2000), "RossoKoralloRedKorallo" (Istituto Italiano di Cultura di Nairobi-Kenia 2000), "Tangos" (Istituto Italiano di Cultura di Lisbona-Portogallo 2003), senza contare le innumerevoli personali in tutta Italia (Roma, Milano, Lecce, Firenze, Taranto, Pisa ecc.).
Giovanni Korallo vuol esprimere con i suoi dipinti le sue impressioni sensibili (sensations) nella forma più adeguata e più efficace possibile, in quanto le "sensazioni" hanno quasi sempre un carattere di avvenimento (danza, paesaggio metropolitano, la musica, il circo).
La sua è la pittura di movimento e d'azione che era iniziata col Caravaggio, che descrive un mondo veloce che, mentre ancora incalza, già è passato. Un mondo fluttuante espressione della cultura moderna.
L'artista esamina le sensazioni della vita di tutti i giorni (momenti di divertimento, di lavoro, di solitudine o moltitudine dove si incontrano ballerini, motociclisti, passanti, vita di città, cardinali e belle donne) dimostrando di aver assimilato pienamente l'opera di Edward Hopper, al quale ha dedicato anche un suo quadro (Sognando Hopper).
Nei quadri di Korallo non si evidenzia tanto il cambiamento esteriore del mondo ma piuttosto la propria e altrui reazione a questi avvenimenti, in quanto egli sa benissimo che è impossibile trasmettere sensazioni senza un'intensa partecipazione all'opera stessa.
Gli elementi scenici di quest'opera sono sempre in movimento come nello svolgersi di un film e l'osservatore è spinto a prolungare virtualmente lo spazio del quadro per poter osservare la scena successiva. L'osservatore diviene così parte del quadro e delle scene che esso rappresernta.
Sia i temi dei quadri di Korallo che la maniera di rappresentarli concorrono a fornire il suo realismo personale. Egli lavora con gli elementi scenici del mondo che lo circonda, della nostra realtà quotidiana, appunto.
Nei quadri di Korallo non cè né critica sociale né pessimismo esistenziale, c'è la vita del movimento e la gioia.
Le opere di questo artista devono essere lette su due livelli: il tema e la tecnica. In un quadro come "
"Paesaggio metropolitano 1" " il tema è quello di uno scorcio di marciapiede, di una qualsiasi città americana, dove due donne eleganti si incrociano sensa vedersi e ognuna va per la sua strada con i simboli che rappresenta (Coca Cola, One, N.Y.). Anche il taglio e l'uso della prospettiva dell'opera sono personali: si vuol fermare l'attenzione sulle due donne e quella più vicina a noi è più piccola di quella più lontana, in modo che l'osservatore abbia una visione più chiara del tema stesso. La tecnica è quella dell'olio su tela, ma la composizione dei colori e il loro accostamento subiscono lo stress inconscio dell'incontro (il rosso che divide perentoriamente le due donne e le scritte che sembrano impresse un po' sul muro di fondo e un po' sul corpo di una di esse).
Restiamo nell'ambito del realismo con un pizzico di pop-art.
Colpisce di Korallo anche lo status poetico delle sue opere. E' sufficiente prendere visione del bellissimo catalogo "Wilde & Korallo", dove i brani poetici di Oscar Wilde sono accoppiati alle opere di Korallo e che sembrano fatti appositamente per descriverle (come ci fa notare Dario Ersetti).
Una delle ultime mostre di Giovanni Korallo, presso l'Istituto Italiano di Cultura a Lisbona, ha per titolo "Tangos" e rappresenta una svolta nella pittura del Maestro leccese, dove il tema e il colore si rinnovano continuamente (nel ballo tipico, nelle strade, nella metropolitana).
Korallo anticipa, come nel film "Shall we dance" (con Richard Gere e Jennifer Lopez), un romanticismo che sembrava ormai sorpassato, ma che ritorna prepotentemente alla ribalta, come gli ambienti, gli abiti, i volti, gli atteggiamenti e le luci che l'artista utilizza, come un regista per concentrare l'attenzione sui dettagli essenziali.
La matrice hopperiana di Korallo si riscontra maggiormente in questi quadri, anche se mentre il pittore americano era portato a mitizzare di più le cose statiche e spesso "banali", Korallo predilige il movimento e fa partecipare l'osservatore al tema dell'opera, introducendolo in essa. In definitiva Hopper è un pessimista, al contrario di Korallo che fa dell'ottimismo uno dei suoi punti di forza.
L'artista oppone la sua chiarezza esplicita all'intimismo e al mistero delle opere di Hopper.
Alle desolate periferie di Hopper, le auto abbandonate e la nebbia piovigginosa che lascia dietro di sé una noia profonda, Korallo oppone strade piene di gente gioiosa di partecipare alla vita.
Ambedue gli artisti hanno comunque il senso della composizione che offre, ovviamente in diverse maniere per i periodi diversi, una visione della situazione della vita.
Se gli impressionisti e Hopper stesso si dedicavano a scene di vita quotidiana (teatro, balletti, caffè, esterni), la vita quotidiana delle opere di Korallo è rappresentata dal movimento e dalle frenesie dell'uomo moderno; i primi dipingono la luce naturale, Korallo quella "artificiale" del modernismo; i primi usano i colori del tempo e delle stagioni, Korallo usa i colori più accesi e brillanti delle strade e delle balere illuminate.
Fonte: WebArtMagazine@Altervista
" Giovanni Korallo, personalità di spicco nel panorama artistico e culturale, ha dedicato e dedica la sua vita all’Arte, alla Bellezza, alla ricerca di nuove forme espressive, all’impegno etico e civile che si ammanta di forme e di colori. Un percorso di successo, di pubblico e di critica, che si evolve in varie tappe, tutte punto di partenza per nuovi sviluppi... "
" Prenderei Giovanni Corallo ad esempio di come la nostra realtà possa fare da punto di riferimento senza essere mitizzata e di come, per converso, il mito possa essere disintegrato o almeno svelato dal confronto ironico con la realtà che lo sottende. La pittura fa di questi miracoli, che poi miracoli non sono affatto, ma buona pittura... "
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Giovanni Corallo e i quadri ... o Quadri? E perché no tondi ... o rotondi? Le rotondità di Giovanni Corallo ... le rotondità delle sue donne. Estrinsecazione materica costretta in quadrati ... o quadri ... o Quadri ... ritagliata. E lo sguardo va così ... è costretto ... va così ai capezzoli ai seni ai glutei alle donne sempre distese.
Sempre distese anche se Giovanni tenta di metterle in piedi ... i capelli le tradiscono..."
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" Giovanni Corallo, artista salentino, dopo i trascorsi neodada, poetico visivi e transavanguardistici, è ritornato alla "grande pittura". Regine, attrici, señoritas, musicanti e generali dalle facce tondeggianti e dall’aspetto grottesco attraversano i dipinti di Corallo, palesando il suo bisogno di esprimere il senso giocoso della vita, desiderata, irreale, apparente, onirica... "
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Si leva il sipario, si va ad incominciare.
In cartellone stasera, ancora una volta, è la "commedia umana".
I personaggi attori sulla scena colma di oggetti sono tutti a loro posto; d'improvviso una luce violenta li illumina per una foto-ricordo. Ma prima dell'azione scenica le luci si spengono e cala il sipario. Si appronta subito un altro diorama.
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La difficoltà non è sulla superficie della tela: lì tutto può essere chiaro, tutto è tragicamente noto, tutto esasperatamente familiare.
E' quando si penetra nei problemi trattati che ti sconvolge e ti coinvolge in quel suo modo di vedere la società; una società che è cosciente di vivere nell'ironia, per evitare il dramma che la pervade.
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" Come nel passato anche oggi l'arte visiva costituisce il fondamento dell'attività che trova nell'immagine dell'oggetto estetico la sua più chiara espressione. Immagine che, attualmente, va sempre più polverizzandosi per la complessità dei contenuti di cui si nutre e dei riferimenti a cui rimanda, dovuti soprattutto alle interferenze a cui essa è soggetta nel contesto sociale post-massamediale. "
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Il modello figurativo di Giovanni Corallo si muove nell'ambito di una classicità e nello stesso tempo nella avvertita esigenza di nuove sperimentazioni.
Ma è il mondo del mito o meglio le fantasie surreali della sua cultura a suggerirgli le pagine più interessanti.
Queste sono ricche di liriche sensazioni dove lo spazio non è un luogo di effimero recupero, ma di recreazione culturale.
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" La pittura di Giovanni Korallo si è connotata, nel tempo, sotto il segno di un costante impegno etico e civile: diremmo pittura militante, in cui, però, l'artista ha saputo raggiungere un personale punto di equilibrio tra i momenti di più intensa ricerca formale e le esigenze di 'narrare' situazioni ed eventi del presente, attraverso la lente di una salutare ironia. "
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" La pittura di Korallo, almeno in questa sua fase recente, testimoniata da un'esposizione che a Lecce è già stata vista l'anno scorso, al Conservatorio di Sant'Anna, e che dal 15 al 27 maggio gioca fuori casa, in mostra a Lisbona nelle sale dell'Istituto italiano di cultura, è una pittura a "focali lunghe", come il cinema di Almodòvar, che schiaccia gli oggetti e le persone sul fondo lasciando poche vie di fuga alla profondità di campo. " "
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Prenderei Giovanni Corallo ad esempio di come la nostra realtà possa fare da punto di riferimento senza essere mitizzata e di come, per converso, il mito possa essere disintegrato o almeno svelato dal confronto ironico con la realtà che lo sottende. La pittura fa di questi miracoli, che poi miracoli non sono affatto, ma buona pittura. C'è innanzi tutto in Corallo una palese, ricca e persino sontuosa presenza della classicità, con tutto ciò che essa vuol dire in Italia: riferimenti storici, delicatezza del segno, finezza del ritratto, dovizia del colore, ambientazione prospettica. Ma questa classicità è ben altro che pura memoria e maestria, artigianale ricordo di scuola. Diviene subito mezzo creativo e strumento critico che denuncia la fatuità dell'imitazione, il ridicolo dell'impiego dogmatico della tradizione. Così il reale viene rappresentato con profonda critica alle sue stesse esagerazioni . Prendete l'immagine della donna. Corallo la presenta sempre immettendola nella galleria delle figure classiche più dotate. Ma nella sontuosità dei sensi e. delle vesti basta una piccola pioggia di frutti, un ricamo sovrabbondante della veste, un volo di capelli - e cioè un tratto surreale - per svelare con leggera ma efficace ironia, la vicenda reale e quotidiana che sta dietro all'immagine imponente dell'Eterno Femminino. Allora la regina diventa una regina perduta. Perduta ma non negata; perduta ma non annichilita. Se ne denuncia la perdita, anzi, perché è proprio andata via dalla memoria corrente che intendeva irretirla e bloccarla. Proprio uscendo dalla galleria fastosa in cui la si voleva confinare, invece, essa invoca un ritorno plausibile, decente, adeguato. Il ragionamento conclude nel recupero proprio rifiutando le trappole di scuola. Il gonfiore enfatico dell'abbondanza retorica - per Corallo - non ha bisogno di deformazione ulteriore: è sufficiente ricostruirlo con i suoi veri orpelli; con i suoi precisi riti, le sue decorazioni e metterlo, semmai, a fronte di un nudo. Il cerimoniale fittizio e artificioso salta via d'un tratto come una crosta superflua non appena si accenna una possibilità di intendere realisticamente il mondo. D'altra parte le figure restano fisse e stravolte nelle loro facce stereotipate se un piccolo alito di sogno si affaccia a sorpresa. Lo stupore di una realtà troppo gonfiata si gela se le grasse figure alla Botero si incontrano con i venti sovvertitori della fantasia di uno Chagall. Diventa allora, forse, difficile capire dove sta davvero il reale e dove il surreale, in quale regione della nostra vita abita veramente l'assurdo. Ma tant'è: l'assurdo abita il quotidiano ed è, nei quadri di Corallo, ben altro che un horror relegato in un disegno lontano dalla vita. Mutua i suoi spaventi dal sorriso di ognuno, svolge le sue avventure nelle cerimonie d'ogni giorno. SI fissa d'un tratto su una luna prendibile da chiunque ami, come diceva Dylan Thomas, "camminare fra gli alberi non essendo che uomo". Allora basta la seriosità di un austero carabiniere a ricordare il contesto o l'occhio compiacente di un cavallo a svestire la sessualità addobbata dalle nostre formalistiche cerimonie nuziali. Viviamo, con Corallo, in un mondo stranissimo che assomiglia, in profondità, a quello nel quale abitiamo e che non sempre ricordiamo. Di fatto. la memoria si apparta e vien meno quando non la mettiamo in cortocircuito con il nostro presente. E quando il contatto è stabilito, poi, può darsi che la città degli uomini prenda sembianza della città delle donne, che Corallo modella come un castello a molti piani. Incomincia da una mela sotto un divano e sale, senza smettere i panni d'obbligo della nostra rispettabile società, verso rarefatti sogni d'amore nascosti in una capigliatura a coda di cometa. Nascono così, più in alto ma sempre nell'al di qua, persino grandi castelli in aria. L'irruzione del sogno, nei quadri di Corallo, non contrasta mai in maniera frontale la consistenza della vita reale. Il sogno - se è davvero tale - si insedia in essa palesemente quasi senza scontrarsi con le dimensioni vere, delle quali non fa che svelare il risvolto. Il sogno fa da specchio ma stando dentro uno specchio reale della quotidianità. Così, anche in un interno domestico e normale è sempre pronta una scala per chi vuol guardare la vita di coppia dall'alto di un albero che la sa lunga. Il grottesco, allora, si mette sottobraccio alla più formalistica convenzione e insieme vanno maliziosamente in cerca di un credo. Quale altro più rapido ed efficace modo potrebbe esserci di cercare il senso della vita nella nostra tumultuosa giornata? La signora si siede in poltrona, sussiegosa nelle sue poppe gonfie, e si trova d'un tratto a misurare sul televisore il suo volto con quello di Marylin. Qui la coda-cometa dei capelli si drizza non si sa bene se nella illusione o nel dispetto. Nella fiction dei mass media che invade sempre di più la nostra giornata riusciamo forse a credere di essere persino ciò che vorremmo essere. E il pittore non solo ce lo dice, ma ce lo fa vedere. I quadri di Corallo sviluppano un serrato dialogo tra serio e faceto con i loro stessi personaggi: fuma, fuma. signora; suona, suona, musicante, abbiamo capito chi siete! L'umor grottesco di Corallo ci rivela con finezza le forme vere della realtà anche se non ci ha detto sfacciatamente quanta tristezza sia possibile produrre fra le pieghe dell'abbondanza. E perché doveva? Ci invita a scovarla e a sorvegliare il nostro progresso. spesso debordante oltre misura verso sponde razionalmente incontrollate, sulle quali ogni tanto si sfascia.
Giovanni Corallo e i quadri ... o Quadri? E perché no tondi ... o rotondi? Le rotondità di Giovanni Corallo ... le rotondità delle sue donne. Estrinsecazione materica costretta in quadrati ... o quadri ... o Quadri ... ritagliata. E lo sguardo va così ... è costretto ... va così ai capezzoli ai seni ai glutei alle donne sempre distese. Sempre distese anche se Giovanni tenta di metterle in piedi ... i capelli le tradiscono. I capelli rimangono verso giù ... la frutta cade dalla coppa ... lo sguardo rimane languido ... il capezzolo rimane eccitato. Leonardo da Vinci, nel suo Trattato della pittura, confronta la pittura con la musica e conclude “Ma la pittura eccelle e signoreggia la musica perché essa non muore immediatamente dopo la sua creazione, come fa la sventurata musica ...” Ecco ... nelle opere di Giovanni Corallo l’erotismo prende il posto della musica ma a differenza di questa continua a “suonare” dalla tela ... d’accordo con Walter Benjamin: “Uno dei compiti principali dell’arte è stato da sempre quello di generare esigenze che non è in grado di soddisfare attualmente”.
Giovanni Corallo, artista salentino, dopo i trascorsi neodada, poetico visivi e transavanguardistici, è ritornato alla "grande pittura". Regine, attrici, señoritas, musicanti e generali dalle facce tondeggianti e dall’aspetto grottesco attraversano i dipinti di Corallo, palesando il suo bisogno di esprimere il senso giocoso della vita, desiderata, irreale, apparente, onirica. Come se le scene fossero tratte da un circo quotidiano in cui l’unico atteggiamento serio è non esserlo, clownesche comparse umane si rincorrono, posano innanzi a un televisore giacciono su un sofà in attesa del nulla. Buffi militari superdecorati e giunoniche figliole con impossibili acconciature balbettano il disagio psicologico proprio dell’umanità di cui facciamo parte, consumistica e da consumare, incapace di comunicare e incomunicabile. Tra gli ambienti dipinti, un po’ metafisici e un po’ surreali, crescono a dismisura gli addobbi e gli arredi, che aiutano i modelli rappresentati a esibire il loro status, quasi che gli orpelli servano a misurare le qualità individuali. Il ritorno alla "grande pittura" di Giovanni Corallo è un percorso che non rifiuta il confronto con tendenze figurative dell’arte contemporanea, dai padri di questo secolo, come De Chirico e Chagall, ai maestri dell’arte ludica, Possenti e Musante. In "Cenando in casa del Sivigliano" l’artista salentino intraprende una ricerca linguistica rivolta alla figurativo che nelle semplificazione delle forme, nella chiarezza cromatica e nella baroccheggiante impaginazione delle opere, rivaluta la memoria come libro delle esperienze trascorse o, comunque, come luogo dove si registrano le visioni di riti esorcizzanti e realtà indesiderate. Forse il pittore brama la poesia, certo l’uomo preferisce la vena ironica che più agevolmente penetra la filosofia.
Si leva il sipario, si va ad incominciare.
In cartellone stasera, ancora una volta, è la "commedia umana".
I personaggi attori sulla scena colma di oggetti sono tutti a loro posto; d'improvviso una luce violenta li illumina per una foto-ricordo. Ma prima dell'azione scenica le luci si spengono e cala il sipario. Si appronta subito un altro diorama.
Giovanni Corallo, regista scenografo e costumista, con rigorosa attenzione per i dettagli ha disposto sul palcoscenico i suoi personaggi per raccontare una e mille storie, senza Storia. I suoi dipinti, infatti, suscitano immediatamente un forte senso di teatralità. Come un burattinaio, ora bonario ed ironico ora accorato e pensoso, stipa nel quadro personaggi, animali e cose, riconducibili tutti ad una presenza quasi oggettuale. E ciò rende surreali e quasi spettrali le sue pur opulente, maliarde o autoritarie figure. A questo brulichio di presenze che ingombrano le composizioni, quasi metafora del troppo evidente e del troppo raccontato nel ciarliero quotidiano, si contrappone la fissità dei gesti dei personaggi, come cristallizzati in una inquietante sospensione. Ne scaturisce un'atmosfera di magica tensione. L'ironia di fondo, con cui sono messi a nudo i rituali sociali, che celebrano l'affermarsi ed il morire dei miti e che codificano comportamenti e ruoli nella quotidianità, non esclude però un'intensa ed amara partecipazione dell'autore. Constata, infatti, come pur nei travestimenti dettati dall'effimero, l'essenza di certi rituali sia eterna esigenza. Ed è perciò che i suoi personaggi, pur contemporanei, hanno il fascino dell'archetipo, che affonda le proprie radici nella commedia dell'arte od ancor più indietro nel teatro plautino. Ma dietro le maschere topiche si cela una realtà altra: il vero, infatti, non è nell'immagine della realtà, ma oltre. E come nel ritratto di Dorian Gray lo specchio rivela ciò che è nascosto, nei due dipinti "Nel segno dei Gemelli", esso rivela alla madre/sposa la prostituta, che è in sé, e viceversa. Ma non sempre è necessario uno specchio per "tradire" quanto è sommerso; il mascheramento per quanto attento e vigile non riesce a contenere la pressione della verità né il senso della vacuità delle convenzioni borghesi. E appunto si concentra l'attenzione sulla borghesia e sui suoi invadenti orpelli. Tappeti, divani, tappezzerie, quadri ed oggetti vari ricoprono e rendono asfittici gli interni domestici, mentre monili, stoffe preziose, guanti, medaglie ed altro ancora addobbano i corpi. Il pensiero ed il sogno di questi esseri scorrono via etere e durano nel tempo quanto l'immagine in tivù. Nel villaggio globale il televisore costruisce e disintegra rapidamente le sue "finzioni", solo la memoria e la coscienza della realtà consentono di denudarne i meccanismi. Dalla memoria come strumento cognitivo del reale il passo verso la memoria storica è irrinunciabile. Il processo di accumulazione fino al sovrabbondante non si manifesta perciò solo nella quotidianità, ma anche nell'affastellarsi di immagini ormai mitiche e museificate. Come i personaggi topici di certi ruoli sociali nascondono altro da sé dietro le apparenze, anche le citazioni di opere di iconografie e di linguaggi artistici celebri, divengono altro. Proprio perché, come ha detto De Kooning "tutti noi fondiamo il nostro lavoro su quadri nelle cui idee non crediamo più", Corallo vuol verificare le fondamenta del fare artistico attuale, mettendolo a confronto con il bagaglio mitico della memoria storica. Le mutate coordinate conducono ad uno spaesamento ambiguo. Il desiderio di ripercorrere sul filo della memoria la magia di alcuni capolavori, si scontra con l'impossibilità di aderirvi. E come nei sogni il riferimento alla realtà si traveste di simboli, che si combinano o si sovrappongono, così queste citazioni sono contaminate; le immagini originarie divengono, quindi, qualcos'altro. Dietro al neoclassicismo di certi impianti prospettici e della frontalità iconica, si manifesta un profondo anticlassicismo. Le scacchiere dei pavimenti divengono piani pericolosamente inclinati o persino, come nella "Regina con frutta", abito optical. Il romantico ed aereo fluttuare di certe figure di Chagall diviene nelle sue citazioni grottesca massa di forme che gravano sul sofà. Ma ogni volta la citazione assume valenze diverse, si va, infatti, dal "recupero", quasi con fare archeologico, di un'iconografia rinascimentale sacra per connotarla di significato mondano alla citazione più diretta, ma non per questo meno straniante del quadro nel quadro.
Fra le numerose figure impietrite, spersonalizzate e grottesche anche nel loro erotismo volgare, si fanno varco alcune figure femminili, sensuali come felini, talvolta maliziose od assorte. Nella complessa ambiguità dei simboli queste donne, rapite in pensieri e sogni intimi, sono forse le muse ispiratrici del "nuotatore", che spesso attraversa il campo superiore del dipinto. Una distesa d'acqua, paesaggi dechirichiani o sironiani costellano al di là della linea d'orizzonte questo "cielo di aspirazioni frustrate, di spazi impraticabili. Dietro l'apparente semplicità anti-intellettualistica del racconto si celano complessi riferimenti in un continuo rinvio e ribaltamento dei significati. Anche l'assoluta fedeltà ai valori della pittura rappresenta un contraltare dissacrante, con cui Corallo impagina e costruisce le immagini.
E come nel trattare variamente la materia cromatica (dalle levigatezze dei volumi à plat fino alle modulazioni arabescate o seriche del colore) si lascia andare al piacere della materia stessa e del fare artistico, così nella sua analisi critica della società lascia il varco alla bellezza. Perciò la citazione della "Venere allo specchio" di Velasquez provoca quasi un momento di struggente malinconia, un "istante" di grande intensità nello specchio sinistramente deformante della società consumistica.
Non stupisce perciò che un pittore con ascendenze dal pop inglese sogni di essere invitato "A cena in casa del Sivigliano", il padre del quadro nel quadro.
La difficoltà non è sulla superficie della tela: lì tutto può essere chiaro, tutto è tragicamente noto, tutto esasperatamente familiare.
E' quando si penetra nei problemi trattati che ti sconvolge e ti coinvolge in quel suo modo di vedere la società; una società che è cosciente di vivere nell'ironia, per evitare il dramma che la pervade.
Giovanni riferisce una immagine ossessiva e feroce del mondo in cui le figure assenti, dilaniate e convulse sono immerse nella chiarezza e nella semplicità dello spazio che le racchiude.
Questo suo "Uomo" che diventa rudere e monumento, contemporaneamente, si maschera e si ufficializza, si ribella e si pietrifica, si accetta e si rifiuta nell'atteggiamento.
Come nel passato anche oggi l'arte visiva costituisce il fondamento dell'attività che trova nell'immagine dell'oggetto estetico la sua più chiara espressione. Immagine che, attualmente, va sempre più polverizzandosi per la complessità dei contenuti di cui si nutre e dei riferimenti a cui rimanda, dovuti soprattutto alle interferenze a cui essa è soggetta nel contesto sociale post-massamediale.
Le contaminazioni, i trasferimenti da un campo ad un altro dei vari rami del sapere hanno ridotto l'arte al suo tramonto, al suo declino; declino dell'aura ideale che l'arte si era guadagnata nei secoli e che oggi si vuole cancellare per un pretestuoso e presuntuoso concetto dell'arte fondato sul riscontro dell'utilità. Si è parlato di conseguenza della "morte dell'arte", e più di recente del suo tramonto come se stesse vivendo nell'agonia di un romantico e maledetto crepuscolo. Siamo nel pieno clima dell'arte nomade degli anni Ottanta. Orbene, le proposte che la pittura attuale fornisce costituiscono tuttavia, sia pure nell'ambito del privato tipico del genius loci, una realtà ch'è frutto di procedimenti da cui traspare vieppiù tutta l'esperienza dell'artista, filtrata ora dal sentimento del fare espressamente rivolto all'immagine, al colore, alla felice decorazione con cui il senso ironico meglio si precisa come nella simbologia delle parti costitutive dei brani visivi.
All'interno del processo di disseminazione del fenomeno culturale definito post modern si colloca la più recente pittura del salentino Giovanni Corallo. Egli, dopo un pieno ventennio di ricerca artistica segnata da una viva partecipazione alle stagioni artistiche più significative svoltesi a partire dagli anni Sessanta in sintonia con le neo avanguardie soprattutto verbo-visive, approda non a caso ad una apittura artatamente inonografica, narrata sul filo della memoria, nel corpo del colore e all'interno della sua stessa storia di homo ludens/faber/sapiens. Una scelta, dunque, nella consapevolezza dei rischi della crisi dei valori derivata dalla perdita del centro, dalla caduta delle certezze, degli ideali e delle ideologie. Ed eccoci di fronte alla condizione pittorica della ricerca di Corallo, oggi esaustiva di un clima culturale diffuso, sicché l'arte trova il suo riscontro nella storia dell'arte in quanto luogo della civiltà e del pensiero.
L'artista, operando sul filo della memoria prefigura dapprima assemblaggi iconici ironico-lucidi, quali segni virtuali della conoscenza classica e anticlassica della civiltà mediterranea, mentre con 2° Rinascimento coglie ed esprime tutte quelle astanze ironiche che hanno reso nella storia noti i diversi personaggi.
Le positure ieratiche e borghesi, laicamente emule della grande ritrattistica della tradizione si manifestano nel fasto del campo decorato: dal tappeto all'arazzo, dal preziosismo dei tessuti al fitto dei merletti, dalle collane di perle ai copricapo è tutto un susseguirsi di segni linguistici che rendono ricca la pittura di Corallo, giocata sul tempo e sul costume epocale. Si avvale inoltre di metodiche operative manuali consistenti nell'uso delle tempere acriliche, matite colorate, pastelli e inchiostri.
Astanze figurate che rimandano alla proposta mai dimenticata della pop-art: figure meditate sull'onda del recupero della tradizione che si rivolgono verso lo spettatore con un fare dignitoso e umano.
Narrazione di un discorso metaforico per immagini che nulla ha a che fare con i linguaggi stereotipati e atipici in quanto esso viene condotto sulle coordinate del corpo della pittura che, talvolta, diviene libera orchestrazione della intuizione creativa. Favola contemporanea opulenta e raffinata; album di corpi muliebri che rimandano alla provvidenziale natura decorata e lirica, virtuosamente modulata, a cui fa riscontro un clangore cromo-spaziale timbrico e tonale.ù
Pittura, questa, che ha origine con la creazione delle "Regine perdute" dove già si avvertivano i prodromi dell'attuale emozionalità fantastica giocata arditamente sulle allusioni. Il gioco è ora più scoperto, benché l'immagine continui ad essere intesa come mezzo di comunicazione ridondante. Al valore dell'immagine iterativa egli preferisce quello dell'immagine meditata e costruita attraverso il mestiere, con cui trasferisce l'humour della propria condizione umana.
Arte ricca e trasgressiva (nella forma e nel contenuto), liberatoria, partecipe della eterna bellezza ideale: orgogliosa del ruolo assunto nel progetto del destino del mondo.
La pittura di Giovanni Korallo si è connotata, nel tempo, sotto il segno di un costante impegno etico e civile: diremmo pittura militante, in cui, però, l'artista ha saputo raggiungere un personale punto di equilibrio tra i momenti di più intensa ricerca formale e le esigenze di 'narrare' situazioni ed eventi del presente, attraverso la lente di una salutare ironia.
Al temine del dibattito cinquecentesco sul primato fra le arti da attribuirsi alla pittura o alla poesia, un letterato veneto, Guido Casoni, accademico degli Incogniti, avviava un trattatello della magia d'amore con la menzione di Ludovico Ariosto e "dell'immortal suo pennello"; Casoni proseguiva illustrando le proprietà dell'Amore Metafisico attraverso una lezione mnemotecnica ispirata alla statua della bella Clarina. Una penna che dipinge e un pennello che racconta, la memoria "energica madre delle muse" (ce lo rammenta il Prometeo eschileo, impotente e avvinto al fianco di una montagna), una riflessione sugli statuti epistemologici delle arti: tutto questo anima con leggerezza la pittura di Giovanni Korallo, ma nel segno di un sorriso partecipe, della raffinata malizia di colui che avverte la necessità di un permanere di certezze attraverso il mosso scenario della società complessa.
Prima di affrontare i soggetti della mostra di Lisbona, sia consentito un richiamo ad alcuni momenti a nostro parere nodali nella più recente elaborazione estetica di Korallo. Un primo riferimento corre alla mostra personale Secondo Rinascimento allestita a Lecce nel 1988: in quell'occasione la pittura agiva attraverso un tratto fattosi più lieve, rispetto al vitalismo cromatico di anni precedenti, e nello stesso tempo con la precisione del bisturi anatomico nel disvelare luci e ombre di un'Italia gaudente e spendacciona. La rinascita delle arti, del gusto, di certo non spiacevole dandismo non celava, all'occhio del pittore, la scarsa coerenza degli atteggiamenti ispirati a un edonismo poggiato sull'assenza di progetti e valori. Con gli anni novanta e l'inizio del nuovo millennio Giovanni Korallo si è fatto più attento all'incontro e al dialogo fra culture: un demone meridiano lo ha accompagnato in un viaggio attraverso i Sud del mondo. Ma questa volta si tratta di Sud che rivendicano la propria identità, e che cercano nell'altro e nella tutela delle proprie origini una nuova emergenza nello scenario internazionale (per certi aspetti 'meridionalistici', in questa nuova accezione, non parrebbe inadeguato un rinvio alle acute riflessioni del sociologo Franco Cassano). Ci riferiamo ad alcune esperienze in Spagna, come le personali di Bilbao (1992) e Madrid (1992 e 1994) ed infine alla mostra di Nairobi del 2000, dove già il pittore avviava la non semplice riflessione sull'esportazione mondiale del 'modello' U.S.A. Qui la ricchezza delle 'terre' e la varietà dei soggetti ha richiesto nuovamente un esercizio di stile al pittore, tornato ad una pennellata forte e a tecniche che privilegiassero quelli che Berenson definì i "valori tattili" dell'arte. Non casualmente, un acuto inter prete della pittura di Giovanni Korallo, Bernard Hickey, nel presentare la mostra leccese della primavera 2002 ha sottolineato le linee di continuità con la tradizione del barocco salentino e la capacità dell'artista di rendere palpabile il "ruolo onorato della musica".
Con la musica veniamo ai due filoni della mostra di Lisbona. La malìa del tango argentino filtra attraverso la pittura di questo artista, attento a ritagliare scorci prospettici in cui la danza non debba rivestire un ruolo necessariamente protagonistico: accanto ai ballerini (e prima di loro) sono i piccoli e variopinti complessi orchestrali, le cantanti dalle ugole spiegate, ed un pubblico sudamericano, tra i cui volti ci attenderemmo di riconoscere un moderno Hemingway. Un pianista malinconico accarezza la tastiera, mentre su di lui incombono figure da cocktail-party: si tratta di uno dei tanti Sud al cui bisogno di riscatto sembra che la pittura di Giovanni Korallo partecipi con gusto un po' "rivoluzionario".
Decisamente più engagé è il secondo filone tematico in questa mostra: la diffusione massiccia ed imperialistica dell'archetipo statunitense trova nella ricerca d'identità perseguita dall'artista una opposizione fiera, ancorché priva di toni stridenti o propagandistici. In una metropolitana che sembra riprodurre un 'film' newyorkese (anche se essa potrebbe magari trovarsi agli antipodi), distinguiamo in primo piano una maschera pirandelliana, una 'maschera nuda'.
C'è una possibilità di riscatto? Se il melting-pot culturale produrrà un atteggiamento di incontro e dialogo, e non una società della tolleranza, forse sì. Forse ai serotini ambienti dell'incomunicabilità, raffigurati attraverso l'adozione di una materica tecnica ad olio capace di drammatizzare i contenuti anche con l'enfasi del chiaroscuro, Korallo sostituirà presto la luce solare del suo Salento, e la sua 'maniera' si aprirà alle irrequiete sperimentazioni di un impavido barocco prossimo venturo.
Due giovani si abbracciano e si baciano su una Lambretta, ma l'arto del ragazzo sembra prolungarsi nel minaccioso braccio armato di un terrorista alle loro spalle. Una signora porta a spasso un buffo cagnolino a pois che fa pendant con il cappotto leopardato di un'altra signora che la incrocia venendo in senso contrario, questa però ha uno strappo che le lacera il corpo e lascia intravedere una scritta rosso vivo: è la scritta inconfondibile della Coca Cola e anche lei non è che un'immagine pubblicitaria. Sono due dipinti della serie "Paesaggio metropolitano", del pittore salentino Giovanni Korallo, integrati in un'esposizione che, a dispetto del titolo monotematico, Tangos, sovrappone le due più recenti ossessioni parallele dell'autore: il ballo argentino, appunto, ma anche le strade cittadine viste sempre con l'occhio dell'ex militante Pop Art.
Così la realtà che cammina per strada (a quattro o a due zampe) si mescola e si confonde con la sua riproduzione fotografica della cartellonistica stradale che compone l'orizzonte figurativo più comune nel nostro paesaggio urbano.
La pittura di Korallo, almeno in questa sua fase recente, testimoniata da un'esposizione che a Lecce è già stata vista l'anno scorso, al Conservatorio di Sant'Anna, e che dal 15 al 27 maggio gioca fuori casa, in mostra a Lisbona nelle sale dell'Istituto italiano di cultura, è una pittura a "focali lunghe", come il cinema di Almodòvar, che schiaccia gli oggetti e le persone sul fondo lasciando poche vie di fuga alla profondità di campo.
Una pittura in cui l'animato e l'inanimato possono confondersi e sovrapporsi, ma l'uomo non si perde mai di vista, anzi, è sempre (s)oggetto principale di una composizione figurativa che non si dilunga in descrizionismi, che non contempla paesaggi sconfinati e, quando li contempla, non se ne lascia intenerire troppo. Korallo rivendica una pittura non regionalista, una pittura senza radici scoperte, del tipo facile da etichettare e sdoganare con un marchio d'origine controllata. Il filo dell'orizzonte delle sue campagne non ha muretti a secco, ma è attraversato dalle linee nervose dei corpi di più o meno improbabili ballerini di tango - ora energici, ora sonnolenti, schiacciati dal peso di passioni immaginabili, quelle di sempre - che il loro autore ha imparato a osservare, confessa, grazie ai canali televisivi digitali. E dove sono stati immortalati questi suoi paesaggi metropolitani? Potrebbero appartenere a Lisbona (città mai vista prima di questa occasione) o a Lecce, anche quando il titolo dice: "Strada di New York" (da Magritte in poi abbiamo imparato a essere sospettosi, tra un'immagine e la sua didascalia c'è sempre qualcuno che sta mentendo). Certamente appartengono a un'idea universale (anche se tutt'altro che astratta) di città, chissà se più utopica o più distopica, più ammaliante o più terrificante.
Contraccolpi psicologici, questi, che dipenderanno sempre da chi guarda, perché l'aria minacciosa dei volti di uomini e donne che vediamo in Fly with me (un quadro in cui le ombre dei personaggi si ribellano ai rispettivi corpi come anime nere di dannati) potrebbe essere soltanto apparente e ingannevole, proprio come il sorriso rassicurante della hostess sull'ennesimo cartellone pubblicitario affisso alla lunga parete che attraversa tre quarti del disegno e sbarra il passo al nostro frustrato tentativo di guardare al di là. Certo è che la grande città continua a essere tutto e il contrario di tutto. Tentacolare, ha la chioma velenosa della Medusa e pietrifica ancora chi la degna di uno sguardo