Giovanni Korallo: multiforme continuum di arte, impegno, vita, tra sogno e realtà.

Scritto: MariaRosaria Montinaro

Giovanni Korallo, personalità di spicco nel panorama artistico e culturale, ha dedicato e dedica la sua vita all’Arte, alla Bellezza, alla ricerca di nuove forme espressive, all’impegno etico e civile che si ammanta di forme e di colori. Un percorso di successo, di pubblico e di critica, che si evolve in varie tappe, tutte punto di partenza per nuovi sviluppi.

Un impegno artistico sostenuto da una profonda conoscenza della tradizione, dei grandi artisti e della storia della pittura nel suo manifestarsi nel tempo, fino alle sperimentazioni innovative rappresentate dalle varie manifestazioni dell’Avanguardia.

Ad essa Korallo partecipa direttamente, abbracciando e interpretando in modi originali la tendenza Neo Dada Pop, che contribuisce anche a far conoscere, in un primo momento attraverso l’esperienza del centro culturale “White and Black”, poi fondando nel 1964 il “Prisma Group” insieme a Toti Carpentieri, Salvatore Fanciano e Bruno Leo.

Quadro appartenente al movimento PRISMA GRUPPO

Una ventata d’aria nuova e feconda che scuote l’ambiente artistico e culturale di Lecce, sempre ricco di fermenti, ma spesso bisognoso di stimoli che vincano diffidenza e una certa pigrizia.

L’obiettivo del Neo Dada Pop è quello di un’arte che valorizzi l’oggettualità; l’opera si configura come un agglomerato di superfici e materiali diversi che mette insieme rigore formale e l’azione estemporanea e sperimentale del gesto.

Gli orizzonti dell’artista si ampliano ulteriormente con la partecipazione successiva al “Gruppo Gramma”, vivace sodalizio di ricerca artistica, cui fa capo la rivista omonima sulla quale scrivono gli artisti del Gruppo; tra questi gli stessi Korallo, Fanciano, Leo ed altri come Vittorio Balsebre, artista complesso e completo e dall’intenso sperimentalismo, Vittorio Dimastrogiovanni, che reinterpreta in forme inedite l’antichità classica e Alberto Buttazzo, che coniuga l’uso di inchiostri tipografici ad originali interventi verbo-visivi, con intercambiabilità di elementi e materiali.

Quadro appartenente al movimento GRUPPO GRAMMA

Per la sua valenza innovativa il Gruppo Gramma viene inserito nel movimento poetico visivo di portata internazionale delle “Singlossie” di Brescia: un’altra esperienza fondamentale nella formazione dell’artista a cui si affianca quella di poesia visuale, attraverso la collaborazione con la rivista “Techne” di Eugenio Miccini, poeta, pittore considerato l’iniziatore della poesia visiva.

Parallelamente Giovanni porta avanti esperienze nel campo dell’arte concettuale con importanti istallazioni a Firenze, in Olanda e in Belgio.

Segue una fase durante la quale studia il mondo attraverso l’occhio della cinepresa e della macchina fotografica, che gli lascerà in eredità l’attenzione all’oggetto, al ritratto. Gli consente, infatti, di cogliere il carattere ambiguo, contradditorio, relativo, multiforme, cangiante, “esperienziale” della realtà, che porterà nelle sue tele e sarà sostanza del suo originale evolversi.

Ritornato all’amata pittura, infatti, fa tesoro di tutte queste esperienze artistico-culturali che si aggiungono e interagiscono in modo dialettico con quelle della vita personale che si va arricchendo di ruoli: marito, padre, insegnante, oltre che figlio, fratello, parente, amico.

Tutte confluiscono nel divenire di uno stile originale, ben definito, dall’impronta caratteristica e caratterizzante, proprio di un artista in continua evoluzione che accoglie e rielabora fermenti e suggestioni di varia origine, compresi quelli barocchi e mediterranei, impressi nel DNA.

La dedizione alla pittura porta Giovanni Korallo ad organizzare mostre di successo, dalla sua Lecce al Salento (Brindisi, Martano, Manduria, Nardò, Otranto, Taranto, ecc.), all’intera Italia (Caltanissetta, Catanzaro, Civitanova, Marche, Firenze, Milano, Pisa, Roma, Serra San Quirico (Ancona), Sulmona, Torino ecc.), a tutto il mondo: da Graz in Austria, in Spagna (Madrid, Bilbao) da Nizza a Lisbona, da Nairobi in Kenya, a Dallas negli Usa.

Ad esse si affiancano le mostre Nazionali di pittura, una mostra virtuale dal titolo emblematico “È come se avessi scritto il romanzo dei ricordi”, che dichiara la consapevolezza di un’arte che affonda le radici nella vita personale; da aggiungere le mostre degli inizi con il Gruppo Gramma, le conferenze in ambito universitario, le collettive come quella a Lecce del novembre 2014 nel Castello di Carlo V dal titolo “Percorsi paralleli”.

Quest’ultima lo ha visto protagonista, insieme agli amici di sempre Salvatore Fanciano e Bruno Leo, nell’evidenziare lo sviluppo di percorsi di ricerca in direzioni diverse che però attingono e si confrontano con le esperienze condivise e sono pertanto “paralleli”. Nella mostra, infatti, ciascuno degli artisti dà ragione del proprio complesso itinerario creativo, indicato in ciascuno dei sottotitoli. Fanciano: “opus tessellatum”, Leo: “iconografie urbane”, Corallo: “ritratti & ritratti”, titolo che sottolinea il legame dell’arte di Korallo all’immagine, all’oggettualità, interpretata anche attraverso l‘uso della fotografia, a partire dall’autoritratto e da sue variazioni metaforiche e simboliche.

Numerosi sono dunque i modi e i luoghi in cui Giovanni Korallo ha portato il suo multiforme variegato ingegno artistico e il suo messaggio visivo sempre in fieri che, come si è detto, trova humus ed ispirazione dalle esperienze formative artistico-culturali e attinge a piene mani dalle vicende della vita personale. Ad esse si aggiunge uno sguardo sul mondo attento alle sfumature, alle contraddizioni, critico in senso kantiano, che rappresenta, esalta, denuncia, servendosi allo scopo anche di un uso della prospettiva non geometrico, ma emotivo e della distorsione espressionistica di forme e colori.

MA.DONNA (Ritratti & Ritratti)

Nella poliedrica fenomenologia dell’artista rimangono tuttavia inalterati valori di fondo, come ben ha osservato Bernard Hickey nel presentare la mostra “Tangos” del maggio 2002 a Lecce, presso il Conservatorio di Sant’Anna.

Questi valori sono: la forza sensuale del colore, la pienezza del segno, la musicalità, lo sguardo dell’artista che accarezza tutta l’umanità, da quella all’apparenza allegra, a quella dolente, a quella aggressiva.

Korallo esprime inoltre attraverso le sue opere tutta una vasta gamma di sentimenti ed emozioni: l’’abbandono, la gioia, l’attesa, la solitudine, il divertimento, la dolcezza del sentimento d’amore che è abbracciato nella varietà delle declinazioni, agape ed eros, la Bellezza nelle sue diverse possibili espressioni.

Una produzione in cui si intrecciano le dimensioni concettuale, emozionale ed etica legate dal filo rosso di una pittura che unisce sempre più classicità e avanguardia, tradizione e sperimentazione, tanto da meritare il titolo di “secondo Rinascimento” o “Italian Renaissance”, come suona il titolo della mostra di Nairobi.

Un’arte ricca di messaggi e di significati che si impone per la sua molteplicità e che invita anche alla contemplazione per il puro piacere estetico di ammirare un’opera bella.

L’arte di Korallo è infatti un’arte dalla maestosa perfezione formale, curata nel minimo dettaglio da scoprire, come quella del Rinascimento, e da un uso del colore che è classico e insieme modernissimo, così come le atmosfere in cui le opere sono immerse, senza tempo eppure agganciate al presente; allo stesso modo i soggetti e i personaggi rappresentati che hanno una dimensione contemporanea e insieme universale, com’è tipico della grande Arte.

Una pittura di contrasti e contraddizioni apparenti in cui confluiscono, si scontrano e si ricompongono, tra l’altro, staticità e dinamismo.

A simbolo di questo armonico intrecciarsi possono essere considerati i capelli delle “regine, perdute,” l’’’eterno femminino” che si presentano folti, compatti, statici nella ben definita acconciatura, e al tempo stesso ondulati come il mare che, lambito dal vento, si increspa di movimenti, come una nuvola, come una vela.

Dannunziana (Regine Perdute)

Pittura d’azione e di movimento, di impressioni sensibili come quella di Caravaggio, la pittura di Korallo trova una sua dimensione specifica nella musicalità, in una musica che si fa danza e, nell’universo al tempo stesso etereo e sensuale dell’artista, si “oggettiva “in particolare nel tango, protagonista, fin dal titolo, della mostra, precedentemente citata del 2002 a Lecce, anteprima di quella a Lisbona, presso l’istituto italiano di Cultura.

“Pensiero triste che danza”, come Enrico Santos Discepolo, poeta musicista, compositore e regista, lo ha definito, il tango è il ballo di coppia per antonomasia, nell’incanto di un incontro di gesti, di equilibri e contrasti, di comunicazione di corpi, sguardi, anime.

Il tango, a cui Jorges Louis Borges ha dedicato una serie di conferenze, è un ballo cittadino, metropolitano che, nato a Buenos Aires; viene considerato fin nel suo esordio anche un tentativo di identificazione degli immigrati, spesso italiani.

Con l’arrivo del successo e del riconoscimento internazionale vengono meno la primitiva ostentazione, la spavalderia priva di tristezza, per far posto all’eleganza, alla sensualità raffinata e un po’ malinconica, in un continuo rinnovamento di figurazioni caratteristiche.

Si tratta del passaggio dal “tango- milonga” al “tango-cancion”, che ha trovato in Carlos Gardel il suo personaggio più illustre, capace di dare vigore e successo universale a questo straordinario, multiforme ballo.

Le milonghe, termine che indica anche i luoghi tipici dove si balla il tango, sono in genere locali dallo spazio ristretto che agevola l’improvvisazione, una tra le caratteristiche che connotano l’originalità di questa danza, basata sull’empatia fisica tra i ballerini.

Infatti il tango, ballo dalle molte figure, da essi è costruito volta per volta attraverso la comunicazione tra loro, con il pubblico e nella gestione dello spazio a disposizione.

Tutti questi aspetti si ritrovano nelle opere di Korallo che non a caso intitola la sua mostra “Tangos”, al plurale, scritto in una grafica al tempo stesso spigolosa e morbida e che tradurre letteralmente “tanghi” sarebbe riduttivo.

Scuola di Tango 1 (Tangos)

In “Tangos” viene restituita infatti l’atmosfera delle varie forme di tango: la popolarità delle milonghe originarie, l’abbraccio, la sensualità; ne è evidenziata la dimensione metropolitana, sottolineata la passione con i colori accesi, rappresentata l’attenzione ai gesti che appaiono sempre diversi e nuovi, pur nel rigore della tecnica.

Nei dipinti si realizza l’aforisma del tanghero Carlos Eduardo Gavito “Il segreto del tango sta in quell’istante di improvvisazione che si crea tra passo e passo. Rendere l’impossibile una cosa possibile: ballare il silenzio” Un silenzio che sembra circondare i ballerini, che trova “voce” nell’eleganza e nella passione dei movimenti e degli sguardi. Di sfondo par di “sentire” i ritmi della Cumparsita di Gadel o quelli del bandoneon di Astor Piazzolla che fanno da contrappunto alla rappresentazione del mondo delle Americhe.

In scena la “Comedie Humaine” con personaggi quotidiani, paesaggi e luoghi metropolitani sul palcoscenico della vita, una vita che si muove a passo di danza.

Del 2009 è la mostra, nelle sale del Castello di Carlo V a Lecce, dal. titolo “Le Stanze Questione di sguardi”, un’antologica di trent’anni di creatività artistica di Giovanni, quasi un fermarsi e considerare il percorso in un momento di difficile svolta anche nella vita.

Le “stanze” sono quelle del castello che la ospita, ma soprattutto quelle interiori, che costituiscono l’essenza dell’io e della sua ispirazione. Emblematica l’opera “ricerca” del 1986 dove cinque architetture “abitate” si appoggiano su un capitello ionico. L’Oggetto, ricorrente nelle opere, simbolo della consapevolezza delle radici classiche a cui appunto la ricerca attinge con lucida capacità, è a sua volta poggiato sulla testa di una figura femminile pensosa. Luoghi, stanze, della mente in cui si condensa anche il passato? “Esuli pensieri” come sembrano quelli che, sotto forma di nido, aleggiano sulla “sognatrice” (1986)?

Il termine “stanze” - come nota il critico Toti Carpentieri nella presentazione in catalogo della mostra – richiama le “stanze” del componimento poetico classico della canzone, quindi “strofe” della vita da consegnare ai posteri. Carpentieri cita come modello esemplare ed esemplificativo la canzone “Donne che avete intelletto d’amore”, tra gli esempi più perfetti dello Stilnovismo dantesco, nel capitolo XIX della “Vita Nova”, capitolo appunto di svolta in cui il sommo poeta, privato del saluto di Beatrice, smette di cercare la felicità nel riconoscimento da parte dell’amata, per riporla, non più in una dimensione egocentrica, ma in quella della composizione disinteressata di versi in onore di lei.

“Nella canzone osserva Carpentieri- composta di cinque stanze, (tante quante le sale del percorso espositivo, tante quante le architetture di “ricerca”), di versi endecasillabi, ciascuna con uno schema (…) di quattordici versi (lo stesso numero di opere presenti in ciascuna delle nelle cinque sale) l’autore confessa alle donne” ‘i vo’con voi de la mia donna dire…. Per isfogar la mente.” (Carpentieri).

Né va escluso un altro collegamento, quello con le Stanze Vaticane affrescate da Raffaello, quattro stanze in sequenza ricche di capolavori assoluti.

Anche le cinque stanze della mostra di Korallo sono in successione ed hanno ciascuna un nome: “Contemporanea”, dagli scenari metropolitani; “Strettamente personale”, in cui si palesa la dimensione privata dell’artista; “Regine Perdute” dominio di un’altera regale femminilità che racconta di castelli e di donne che esibiscono una prosperosa fisicità e sembrano ammiccare alla stanza successiva dal titolo “Calze nere”, oggetto -feticcio ridondante di rimandi e significati, per giungere all’ultima stanza del percorso-viaggio: “Il cielo in una stanza”, un titolo che in sé spalanca gli orizzonti, esce fuori dalle pareti di uno spazio chiuso, per sfiorare l’illusione dell’infinito, racchiudibile in un tenero abbraccio.

Le 5 Stanze

La continuità del percorso è indicata sottilmente anche dalla scelta di indicare, nel catalogo, che correda la mostra, i titoli delle opere con la lettera minuscola, che non interrompe né evidenzia segni forti di interpunzione.

Un altro riferimento, suggerito dallo stesso Carpentieri, mette infine in relazione le stanze della mostra con “Le stanze di Dzyan”, opera ermetica del 1888 scritta da Helena Blavatsky,, a suo dire interpretando il linguaggio iconico di un antico libro tibetano, “Il libro di Dzyan”,è considerato tra i più antichi del mondo. particolare che conduce alla dimensione ancestrale e a certe atmosfere surreali e misteriose dell’opera di Korallo, che suggeriscono mondi paralleli lontani, a volte misteriosi, immaginati al di là di una finestra, di uno specchio.

Filo conduttore di questo percorso-viaggio-scoperta è la figura femminile; una figura desiderata, amata, sognata, rappresentata in una vasta gamma di situazioni: pensierosa, sognatrice, materna e madre, sensuale, erotica, elegante, raffinata, distante o distaccata, istintiva, nuda di una nudità talvolta compiaciuta e florida, ma mai volgare, nordica e mediterranea, sontuosamente abbigliata o comunque in eleganti vestiti.

Korallo ama i broccati, le sete, i velluti, di solito rossi e blu; i tessuti a pois, di solito bianchi, su vari sfondi: rosso, verde, marrone, in modelli anni Cinquanta e Sessanta, forse ricordi di importanti, attraenti figure femminili che l’inconscio fa emergere e visualizzare; ne sono esempi “ricordando d’annunzio” (2000)” ritratto della ballerina juanita rejna” (2002), “happy family” (2005), “sala d’attesa” (2009).

Happy family

Colpiscono gli sguardi che scrutano, indagano, accarezzano, che ora sfuggono, ora si incontrano, ora sono persi nel vuoto o intenti in una visione percepibile solo ad essi; di stanza in stanza si incontrano sguardi profondi, sinceri o astuti che ora fissano diretti, ora sembrano lontani, ora in tralice, tutti che raccontano un mondo ricco ed inquieto da scoprire.

In questo intreccio di sguardi si ha l’impressione che l’ultima opera di ciascuna stanza rimandi con lo sguardo a quella successiva, e la prima alla precedente, simbolicamente e visivamente riproducendo il percorso fino all’ultima stanza, in cui l’occhio sembra affacciarsi con timore e curiosità all’incognita del futuro.

Sguardi che declinano tutte le possibilità dell’atto del vedere e ne diventano sintesi innovativa “Vedere o scrutare? - si chiede Carlo Alberto Augieri nel recensire la mostra- Osservare o sbirciare? Oppure spiare? Può essere un mirare?” sono dubbi che, secondo il critico, sorgono davanti agli sguardi dei personaggi della pittura di Korallo, una pittura visionaria, estatica, eppur graffiante, immaginativa e sognante talvolta cruda eppure reale in cui si evidenzia un “bisogno di guardare una tensione a rinnovare l’atto stesso del vedere.”

Uno sguardo definito “intransitivo”, in quanto dotato di un’“eccedenza” che permette di non scoprire tutto e per cui “ogni cosa non smette di essere geroglifico e pure velo, oltre il quale l’invisibile chiede una seconda vista, un altro modo di vedere” (Augieri).

Il guardare diversamente, il guardare oltre, identifica un’altra caratteristica della mostra, quella di essere, accanto a percorso individuale, anche un’antologia di citazioni di opere e artisti, “rivisitati, ovvero “visti “con altro sguardo: dalle forme giunoniche di Botero alle “pomone” di Marino Marini, alla leggerezza di Chagall, come nell’opera “Sposi” (2005) o in “Happy family” (2003) e all’artista russo lo accomunano anche le gioiose, sospese atmosfere. Vi si ritrova la pittura metafisica di De Chirico, espressamente citato nell’opera “a De Chirico & company” del 2003, ma anche Frida Kahlo il cui viso viene riprodotto due volte, come in uno specchio, nello sfondo di un quadro a lei intitolato, sempre del 2003.

Omaggio a Frida Kahlo

Ed ancora si ritrovano rimandi ai nudi di Ingres ed al suo “Bagno Turco,” nella complessa opera omonima di Korallo “bagno turco” del 2009, in cui viene anche citata “La grande odalisca” dell’artista francese; a Picasso reinterpretato nei soggetti circensi; Degas ammicca in “scampagnata” del 2007.

Chiaro è il riferimento a Tiziano nel titolo dell’opera del 2008 “amor sacro e amor profano”, benché diverse siano le atmosfere rispetto all’opera del Rinascimento. Simili considerazioni per “colazione sull’erba” che riprende il titolo dell’opera di Manet, con qualche maggiore collegamento tematico rispetto a Tiziano, ma proponendo atmosfere diverse, anche nel cromatismo. Si tratta di “citazioni” che, mentre sottolineano la continuità del dialogo artistico, sono reinterpretate con l’impronta inconfondibile di Korallo, capace di elaborare queste influenze in forme originali ed inedite.

Il mio amico Tiziano

Muoversi di sala in sala, di stanza in stanza significa muoversi nel mondo costruito da Giovanni Korallo nel corso del tempo, significa partecipare all’evoluzione della sua anima, sempre nuova, sempre coerente a se stessa, sempre aperta a sviluppi futuri.

Dai colori tenui e dalla leggerezza del contorno di “oggettivando” del 1981, in cui una dolcissima donna sedia-Cielo specchiato sostiene due bambini, o di “attesa” (1989), si passa a forme sempre più decise e consapevoli nella purezza del tratto e nei colori.

Colpisce il susseguirsi di una teoria di donne diverse: donne musicanti, attrici, donne sole, donne che sembrano attendere (qualcosa o qualcuno), donne in compagnia, in gruppo, donne in interni arredati con cura con sofà, tende, specchi, come “musicante” e “monica, entrambe del 2000; donne allo specchio, donne in coppia con un uomo, come in “mare di settembre” del 2003, in cui il faro sullo sfondo ha le linee familiari del “faro” di San Cataldo, la spiaggia dei leccesi.

Questa spiaggia peraltro è stato scenario della scultura ecologista installata da Giovanni nel 2005, una scultura che trae spunto dalle altre “sculture, quelle” che fanno da sfondo all’opera “Big woman” del 1970.

Non mancano le coppie: coppie gioiose sull’altalena, oggetto tipico del divertimento settecentesco raccontato da Fragonard, che comunicano un senso gioiosamente e sensualmente ludico e non la grazia rococò dell’artista francese.

Non mancano gruppi di famiglia in interni, gli “happy family”, o in esterni, come in “gita fuori porta”, dove i soggetti appaiono ammassati forse ad indicare la claustrofobia di certe tradizioni familiari.

Si susseguono ballerini di tango, scene di vita metropolitana alla Hopper, l’artista considerato il precursore della pop art. Ma i colori di Hopper, anche i più decisi, non comunicano la vitalità, che sempre diviene cifra caratterizzante in Korallo, dal carattere sanguigno, mediterraneo. E ad Hopper Korallo rende consapevole omaggio con “ho sognato di ballare un tango in un quadro di Hopper” (2003), quasi voler “contaminare” la solitudine metropolitana ritratta dall’artista americano con i ritmi e il movimento dell’America latina.

Paesaggio metropolitano 1

Un posto a parte merita nell’ambito della mostra l’inquieto e inquietante busto “in-fedeli”, già esposta nel 2004 alla Triennale d’Arte Sacra. Qui Corallo, nelle inedite vesti di scultore, trasmette un messaggio di denuncia verso ogni forma di imperialismo: politico, religioso, razziale, contro la guerra e la violenza, giustificate dall’arrogante presunzione di avere Dio dalla propria parte. Da qui in- fedeli in cui la parola nega se stessa e riflette la polarità dei punti di vista.

La denuncia delle aberrazioni del connubio fede-potere si ritrova nell’opera “Fucili e la Fede”, non presente nelle “Stanze”; in essa il rosso della bandiera americana si trasforma in sangue alle spalle di un giovane in atto di urlare la sua disperazione, non solo esistenziale, l’Urlo” di Munch docet, ma anche quella storica; abbattuti gli emblemi della cultura, la colonna classica si è trasformata in appoggio per strumenti di morte.

Fucili e la Fede

La rappresentazione critica di un mondo di violenza trova del resto uno spazio di denuncia in varie opere che la mettono in scena nella sua tenebra e nel dolore che suscita; è il caso di “elogio della violenza” (2004), parafrasi della celebre opera erasmiana che denunciava meriti e vizi della follia degli esseri umani; o ancora in “Napoli by night" (2004) che rappresenta e condanna la violenza. Essa si insinua anche nell’opera “provocazione” dello stesso anno in cui su due piani viene rappresentata, senza giudicarla, un’umanità “viziosa”.

Napoli By Night

Si tratta di opere esposte nella stessa “stanza” e nella stessa pagina dell’opuscolo la cui “aggressività” viene “alleggerita” dalla gioia che infonde “la piscina”, datata sempre 2004, con un’immagine che reca la traccia del mito, ricordando l’episodio omerico di Nausicaa nell’ Odissea: tre fanciulle giocano a palla nell’azzurro dell’acqua che riflette un cielo punteggiato di tenere nuvole, sullo sfondo rigorose architetture che ricordano De Chirico, il pictor optimus.

Le dinamiche e leggiadre immagini del “circo in città” sono un elogio della fisicità leggera e ginnica. Sono tra le opere in cui l’elemento gioioso, ludico, il divertissement (anche nel senso pascaliano di “distrazione”, di “non pensare”), prevale ed illumina la stanza. e le pagine del catalogo, ponendo Korallo accanto ad artisti quali Antonio Possenti e Francesco Musante.

Esprimono, insieme ad altre, un senso gioioso della vita, che è un’altra caratteristica dell’arte di Korallo e che tutto illumina di una sottile, intelligente, affettuosa ironia.

Un messaggio di denuncia al consumismo è presente in “Santa Marilyn of Hollywood”, un’opera che declina in modi propri l’insegnamento di Andy Warhol (2003), poliedrico artista, figura di spicco del movimento della Pop art, uno dei più influenti artisti del Novecento. Dalla Marylin rappresentata nell’opera che ha il titolo significativo “nature morte” del 1999, con il volto azzurro coronato. in contrasto, dalla bionda chioma (l’aureola?), poggiato su un cesto di frutta rossa, che riprende il rosso delle labbra, si passa a questa Marylin trionfante, cromaticamente brillante. L’aureola, però, emblema classico di dignità, di valore sociale e, nell’iconografia cattolica, stigma di santità, si trasforma in un tappo di Coca Cola sul capo di un’icona di bellezza per antonomasia. Marilyn Monroe, ritratta in tutta la sua avvenenza e con l’espressione in estasi delle sante, stringe tra le mani, dalle unghie accuratamente laccate, un ex –voto e la bandiera degli odiosamati USA.

Santa Marlyn de Hollywood

Del resto il culto e la venerazione delle immagini unisce, come fa osservare Bernard Hichey, la modernità, la Chiesa Greca bizantina e quella cattolica, sottolineando forse una continuità (o un bisogno) dell’uomo, pur nella trasmutazione dei valori, da quelli morali a quelli economici del consumismo, “pubblicizzati” con un modulo iconografico simile.

L’arte diventa in questo modo impegno morale di critica e denuncia verso una società che santifica impropriamente le merci prodotte in serie nelle fabbriche, volgari simboli di una modernità che ha fatto dell’individualismo e del consumismo i propri feticci.

L’artista continua questo messaggio nell’opera “la morte del gusto”; in essa una pistola, strumento di potere e di morte, che avalla l’umana stupidità, è puntata su un viso di donna dalla perfezione classica, i grandi occhi attoniti, il cui sguardo sembra rivolgersi interrogativo allo spettatore; sullo sfondo una parte della scritta Coca Cola, la bibita divenuta emblema del consumismo.

L’opera “hotel lampedusa” del 2001 è invece una denuncia dello sfruttamento e del pregiudizio in tempi certamente meno sospetti di quelli attuali.

Sono opere che esprimono il senso di responsabilità verso gli altri, la partecipazione al dolore degli ultimi, anche questa dimensione radicata nell’arte di Giovanni con una adesione empatica che si fa immagine e immagine che si fa parola e musica, una capacità che trova l’apogeo nei citati “Tangos”.

Nel percorso di Giovanni c’è anche l’eterea luna, lontana, distante, ambigua, romantica e inquietante, l’astro caro a Leopardi e a Chopin”. In “io e la luna” (2001) una luna antropizzata è afferrata con soddisfazione, e si direbbe anche con sforzo, dall’uomo della coppia che alberga tra i rami, sulla cima di un albero dalla chioma verdeggiante (che ricorda il vestito della figura femminile di “gita fuori porta”). L’insieme sembra rappresenti il sogno della coppia che dorme sotto l’albero l’uomo della quale indossa un copricapo che ricorda i celebri “fidanzatini “di Peynet, deliziosa nota lirica. Sullo sfondo si vedono e intravedono figure, fantasmi, montagne in una policromia suggestiva, freudiana: forse la felicità desiderata e raggiunta in due, almeno nel sogno.

Il rapporto con la poesia, connaturato nella formazione del nostro artista, aveva trovato la sua apoteosi in “Wilde e Korallo”, una mostra- incontro del 2000 a Palazzo Adorno, con recitazione di brani poetici del poeta inglese, collegati ad opere dell’artista salentino, e accompagnamento di musiche celtiche accennate al flauto. Un evento coordinato dal Prof. Hickey, estimatore dell’arte di Korallo, che mette in evidenzia i sottili collegamenti sottesi tra le culture, che l’arte riesce rendere palesi e di cui Giovanni si fa spontaneo interprete.

A Wilde, in particolare a Dorian Gray, l’artista si collega anche attraverso un oggetto- feticcio che si ripropone spesso: lo specchio, anch’esso archetipo, misterioso ed inquietante, dietro al quale si possono immaginare mondi paralleli. Lo specchio che a volte “riflette” e a volte deforma, altre “svela”, altre racconta un desiderio. Nell’opera “nel segno dei gemelli” (peraltro il segno zodiacale di Giovanni) il riferimento implicito alla dualità del segno rappresenta la duplicità della visione: una prostituta si guarda allo specchio e ritrova in esso il sogno di essere una pudica sposa ed una madre prolifica o e il contrario? Un militare con la bandierina italiana in mano (il marito? il dovere? l’autorità? la legge?) esce in parte dalla cornice; sullo sfondo altre figure che riflettono il resto dell’ambiente o sono parte del sogno?

L’orizzonte del sogno è del resto fondamentale nel percorso delle Stanze; si ritrova come parola- chiave nei titoli o in termini derivati come “sognatrice”. Sogno/illusione, sogno / desiderio, sogno/dormire, sogno/realtà: delle varie declinazioni del concetto, quest’ultima sembrerebbe un ossimoro. Eppure l’arte rivela che il sogno non è solo fuga dalla realtà presente, come nel pensare comune, ma come al contrario, possa completare, perfezionare, costruire la realtà; diventare obiettivo da perseguire, intrecciarsi con il quotidiano fino a confondersi con esso, farlo rivivere all’altezza delle aspettative. Giovanni dimostra di credere insieme a Shakespeare nella “Tempesta” che “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”, perché. come diceva Hermann Hesse, capovolgendo la prospettiva, “non c’è realtà all’infuori di quella racchiusa in noi e per questo –concludeva -tanta gente conduce una vita irreale: prende per realtà le immagini esterne”.

Un altro filo conduttore della mostra è il colore, un colore che è energia, emozione, sentimento. Si impone il rosso, un rosso particolare, rosso Korallo, perché Giovanni ha fatto del suo nome un correlativo oggettivo dalle valenze polisemiche. Un rosso dalle sfumature intense, il colore della passione e delle passioni, del sangue, della gioia, un colore che nel nome, c(k)orallo, parla anche della lunga e paziente opera del mare nel creare bellezza, plasmando, come un artista, i gusci di piccoli polipi che si moltiplicano e addensano in simbiosi a formare incredibili meravigliose barriere. Il corallo rosso, (corallium rubrum) è peraltro l’unico presente nel Mediterraneo, il “mare nostrum” che racconta storie e miti arcaici e tragedie moderne, culla di civiltà, teatro di battaglie e di incontri che sono nella formazione culturale, nel cuore, nell’arte di Giovanni.

Al rosso si affiancano: il blu, in tutte le sfumature, dall’azzurro al ciano, dal blu cobalto al blu Klein a quelle del mare e del cielo; il verde, anch’esso variamente modulato, a partire da quello brillante della natura, e poi tutta la tavolozza cromatica che Giovanni padroneggia con competenza, maestria e… magia.

Ma è il rosso a dominare nella maggior parte dei quadri o almeno proposto in qualche particolare. Si ritrova nella mela che sempre compare in modi diversi: in evidenza o subliminale, come oggetto decorativo, nei cesti, barocchi, carichi di frutta che compaiono spesso negli interni, su una tenda come decorazione, nei vestiti o in qualche dettaglio, come elemento della figura femminile.

Anch’essa oggetto simbolico dalla notte dei tempi, la mela è parte dell’inconscio collettivo. A ssociata al mito delle origini ed alle figure archetipe di Adamo ed Eva è oggetto- emblema legato alla tentazione, al peccato, ad un ribelle desiderio di conoscenza; nel mito classico di Paride e delle tre dee, si collega alla selezione, alla scelta gravide di conseguenze. Nell’arte di Korallo è anche chiaro riferimento e omaggio, oltre a Magritte, al periodo della Pomme art di cui l’artista è stato pioniere ed esponente.

Voi sarete dèi

Un’opera particolarmente bella e significativa della mostra è certamente “giulietta e romeo trent’anni dopo” del 2008, che non per nulla è stata scelta come copertina del catalogo. Un abbraccio, il ricordo struggente dell’amore della vita: Giulietta e Romeo, Giovanni e Rita, le iniziali scambiate come lo scambio di un amore che vince il tempo. Amore complementare come l’accordo cromatico dei vestiti: rosso quello di lei, blu quello di lui, come la somiglianza dei visi ai soggetti nella realtà, come l’abbraccio avvolgente e gli sguardi che si sorridono complici, al ritmo di una musica che solo a loro è dato sentire, edi una danza che suggerisce le movenze del tango. Ricordo, abbraccio, nostalgia, ora che il destino li ha separati, ma lei c’è nel cuore, nella mente, nelle opere.

L’aspetto fisico della moglie, musa ispiratrice, donna di famiglia e accorta organizzatrice, punto saldo di riferimento, compare del resto spesso nella fisionomia femminile, nel colore dei capelli e nelle situazioni familiari, come presenza attenta ed amorevole; ma anche sensuale; allo stesso modo alcune fisionomie maschili ricordano quella di Giovanni. Trasfigurazioni artistiche di una vita reale fatta di Arte, di Famiglia, di Amore quotidiano, di gioie, dolori, di perdita, di ritrovarsi nella sublimazione della pittura.

Da Giulietta e Romeo ad Orfeo ed Euridice: storie di amori indissolubili. Ancora una volta lo sfondo è la musica nel suo aspetto incantatore, ma la rappresentazione si amplia addentrandosi nel mito. Da qui il Titolo” Korallo Variazioni sul mito di Orfeo”, un mito a tratti ambiguo nei suoi sviluppi, ambiguità sottesa alle due figure capovolte che campeggiano sulla copertina del catalogo.

Protagonista Orfeo, soggetto tra i più illustrati in opere letterarie, visive, musicali, che viene rappresentato da Korallo in undici grafiti tutti del 2011 e tutti delle dimensioni 50x70 o 70x50(numeri magici?), dalla rappresentazione in bilico tra mitologia e sogno, ancora una volta parola chiave, attraverso immagini fantastiche, talvolta scenografiche o inquietanti, come “L’uomo nero”.

In esse viene raccontato Orfeo alla ricerca del vello d’oro con gli altri argonauti che hanno tratti somatici arcaici e primitivi: Orfeo a tu per tu con il mostro che custodisce il vello; Orfeo che ascolta il canto delle sirene, ammaliante come la sua musica che ammansisce le bestie feroci e che convince gli dei a restituirgli Euridice, morta per il morso di un serpente, notoria presenza simbolica della tentazione e del peccato.

L’ impazienza di Orfeo, forse anche la sua diffidenza sulla promessa degli dei, indurranno l’eroe a voltarsi e, nella ricerca dello sguardo, a perdere definitivamente la sua Euridice.

Un’interpretazione del mito vede in questo voltarsi e perderla l’impossibilità di tornare indietro o essere come prima, quindi una necessità di fallimento per l’impresa di Orfeo, come avviene nella vita.

L’opera “L’addio di Orfeo a Euridice “sembra avallare questa ipotesi. In essa l’eroina, in un contesto onirico inquietante per colori e immagini, che ricordano l’Inferno dantesco, rivolge l’ultimo sguardo ad un Orfeo perplesso ed incerto, come porgendogli la mela che ha in mano, simbolo di scelta, di selezione, di addio da parte della donna della tentazione, del desiderio, del sogno infranto.

Oltre alla mela, si ritrovano in queste di Korallo altri elementi tipici, come il serpente, gli alberi, le architetture classiche, il mare.

Euridice compare ora con una florida fisicità, già presente in altre opere, ora con fattezze quasi adolescenziali; ora in un contesto sereno abbellito da elementi decorativi, come in “Euridice”, ora in uno scenario che vorrebbe essere fonte di ansia, ma che si stempera nella sottile, bonaria ironia tipica di Korallo. È per esempio il caso di “Euridice e il serpente” in cui quest’ultimo ha fattezze umane inquietanti e sembra non voler tentare, ma, con riferimenti impliciti alla contemporaneità, usare violenza alla donna.

Ritornano in alcune opere anche il cromatismo intenso e il rosso corallo; ritorna lo specchio deformante che accomuna “Euridice e Ade” “all’opera “de chirico e company” (2003), esposta nelle Stanze.

La tecnica delle matite colorate ecoline conferisce leggerezza a tutte le opere, da quelle quasi monocromatiche di un arancio che ricorda Matisse, a quelle in cui domina il gusto del cromatismo acceso ed in cui il bianco diventa talvolta il colore di una realtà fantasma, del non-essere.

Quali le direzioni future di ricerca per Giovanni Korallo? Si parla di un nuovo personaggio emblematico e che è nelle corde dell’artista e del suo percorso: Don Chisciotte della Mancia.

Anche a lui è associata una donna, Dulcinea del Toboso, una contadina che don Chisciotte ha mitizzato vedendola come una principessa, che ama senza averla mai vista e per la quale si fa cavaliere errante combattendo per lei.

La figura di don Chisciotte è un personaggio-ambiguo, di quelli che ispirano Giovanni. La f sua figura è, infatti, emblema non solo di una crisi storica e sociale, ironica parodia del cavaliere, ma può anche rappresentare, al di là della contingenza temporale, chi continua a lottare nonostante tutto e contro tutti in nome di valori considerati dalla massa desueti, sorpassati, illusori, ma in cui fieramente crede, perché rappresentano il meglio dell’umanità. Rappresenta chi non vuole arrendersi e non vuole abbandonare i sogni. Di questi, come degli ultimi della terra e della società, l’arte deve farsi portavoce, specchio, metafora ed analogia.

Si ratta di personaggi e situazioni che Giovanni saprà prendere, rielaborare e restituire, narrandoli a suo modo.

L’arte di Korallo dunque nel suo percorso ha costruito e continua a costruire un mondo di bellezza, di cultura di riflessione, e denuncia, di miti ritrovati e rivisitati, di impegno che sa parlare a chi guarda/ammira.

Un’arte sensuale, sensibile, sensata, tutti termini che hanno lo stesso etimo dal latino sensus dai molteplici significati: senso sensazione, sentimento, sensibilità, capacità, intelligenza, pensiero, simbolismo, giudizio. Significati che si rimandano e si completano, scoprendo inedite relazioni semantiche.

Giovammo Korallo nel continuum farsi della sua arte tra sogno e realtà rivela un peculiare modo di intendere e di vivere la vita che coinvolge la famiglia, gli amici, il pubblico, sente la responsabilità verso gli altri, non rinnega il passato, rende omaggio alla donna, alla sua donna/moglie/madre, ai sentimenti, alla “concretezza” dei sogni, rappresenta in immagini il contrasto e l’armonia di situazioni e azioni e lascia il segno.

È un’arte che è Intelletto, Gesto, Emozione che si fanno linea, colore, musica, danza, canto di Denuncia, di Pace, di Speranza, di Bellezza, Armonia, d’ Amore., in grado di rendere l’incanto di persone, paesaggi, situazioni, sentimenti e vincere la tirannia del tempo.

Con affetto, ammirazione e stima MariaRosaria Montinaro