Come dipingere i ricordi

Cenando en casa del sevillano| 1994

Informazioni:

Nazione di Esposizione: Spagna

Città di Esposizione: Madrid

Museo di Esposizione: Istituto di Cultura Italiano - Madrid

Mostre successive

Critiche artistiche

Arrigo Colombo

" Il pittore della società opulenta, affluente; di quella che, verso la fine degli anni '50 l'economista americano Galbraith chiamò con questo nome, ch'è rimasto. La società dell'inesausta offerta dei beni, i grandi magazzini e supermercati dove le merci di ogni tipo si affollano, si ammucchiano, facili, suadenti, sollecitano l'occhio, il desiderio; i grandi enormi centri di acquisto... "

Ilderosa Laudisa

" Si leva il sipario, si va ad incominciare.
In cartellone stasera, ancora una volta, è la "commedia umana".
I personaggi attori sulla scena colma di oggetti sono tutti a loro posto; d'improvviso una luce violenta li illumina per una foto-ricordo. Ma prima dell'azione scenica le luci si spengono e cala il sipario. Si appronta subito un altro diorama... "

Toti Carpentieri

" Si leva il sipario, si va ad incominciare.
In cartellone stasera, ancora una volta, è la "commedia umana".
I personaggi attori sulla scena colma di oggetti sono tutti a loro posto; d'improvviso una luce violenta li illumina per una foto-ricordo. Ma prima dell'azione scenica le luci si spengono e cala il sipario. Si appronta subito un altro diorama... "

Arrigo Colombo

Il pittore della società opulenta, affluente; di quella che, verso la fine degli anni '50 l'economista americano Galbraith chiamò con questo nome, ch'è rimasto.
La società dell'inesausta offerta dei beni, i grandi magazzini e supermercati dove le merci di ogni tipo si affollano, si ammucchiano, facili, suadenti, sollecitano l'occhio, il desiderio; i grandi enormi centri di acquisto.
Società, dell'automobile, del televisore, delle vacanze, della seconda casa; del viaggio sempre possibile ovunque, dello spettacolo sempre presente. Società della ricchezza espansiva, l'arricchimento rapido e vorticoso; le sacche di povertà essendo pur sempre presenti ma nascoste, sollecitamente occultate.
Il pittore, dunque, assume nei suoi quadri questa società. L'opulenza vi trova il suo prototipo della donna, nel suo corpo formoso e splendente, gli abiti sontuosi, i gioielli.
Molti quadri sono semplicemente ritratti di donna come figura e simbolo di opulenza.. La donna, il termine del più intenso e corposo desiderio dell'uomo, del maschio, di colui che ancor sempre domina e governa questa società, compare qui come sovrana e dea, dispensatrice di bellezza, piacere, ricchezza. Anche se la sua figura statuaria e statica, distaccata sempre, gli occhi spersi e insensibili, è fortemente reificata, oggettuale, mercificata.
Come tutta l'umanità di questi quadri: le coppie di sposi distesi in una rigida incomunicabilità, le coppie con figlio rigide fisse, lo sguardo ottuso, i gruppi di famiglia.
In posa sempre, in interni fastosi preziosi, morbidi divani e cuscini, tappeti,tappezzerie, quadri, segni della nuova ricchezza facile, status symbols.
In cui sono cresciute le cose senza che crescessero le persone, si formasse ed espandesse la mente, lo spirito, la moralità, gl'ideali, i valori supremi. Reificati, oggettualizzati, mercificati.
Siedono, stanno. Giacciono, si ammucchiano come cose, personalità perdute, volti insignificanti, gesti inespressi, assenza di comunicazione, incomunicabilità totale.
Sugli sfondi si adombra talora un mondo diverso e opposto: d'interiorità, pensieri e desideri interiori: di libertà (così il ricorrente tema dell'uomo che nuota nell'onde, in uno spazio grande aperto); o anche semplicemente di realtà, di lavoro fatica dolore.
Come ricordo, ansia occulta; come richiamo. Quadri intensi di colore, di forme, come di senso. Il fatto pittorico ritorna qui in tutto il suo splendore; anche se esaltato nel brillio fatuo e caduco, nella presa critica e ironica.
Sì che la realtà delle cose è trascesa e trasfigurata (o sfigurata) dall'immaginazione creativa, cui presiede l'idea, il pensiero; a ricostruire e significare quel mondo. Un itinerario suggestivo nel ritorno alla figura.

Ilderosa laudisa

Si leva il sipario, si va ad incominciare.
In cartellone stasera, ancora una volta, è la "commedia umana".
I personaggi attori sulla scena colma di oggetti sono tutti a loro posto; d'improvviso una luce violenta li illumina per una foto-ricordo. Ma prima dell'azione scenica le luci si spengono e cala il sipario. Si appronta subito un altro diorama.
Giovanni Corallo, regista scenografo e costumista, con rigorosa attenzione per i dettagli ha disposto sul palcoscenico i suoi personaggi per raccontare una e mille storie, senza Storia.
I suoi dipinti, infatti, suscitano immediatamente un forte senso di teatralità.
Come un burattinaio, ora bonario ed ironico ora accorato e pensoso, stipa nel quadro personaggi, animali e cose, riconducibili tutti ad una presenza quasi oggettuale.
E ciò rende surreali e quasi spettrali le sue pur opulente, maliarde o autoritarie figure. A questo brulichio di presenze che ingombrano le composizioni, quasi metafora del troppo evidente e del troppo raccontato nel ciarliero quotidiano, si contrappone la fissità dei gesti dei personaggi, come cristallizzati in una inquietante sospensione.
Ne scaturisce un'atmosfera di magica tensione.
L'ironia di fondo, con cui sono messi a nudo i rituali sociali, che celebrano l'affermarsi ed il morire dei miti e che codificano comportamenti e ruoli nella quotidianità, non esclude però un'intensa ed amara partecipazione dell'autore.
Constata, infatti, come pur nei travestimenti dettati dall'effimero, l'essenza di certi rituali sia eterna esigenza.
Ed è perciò che i suoi personaggi, pur contemporanei, hanno il fascino dell'archetipo, che affonda le proprie radici nella commedia dell'arte od ancor più indietro nel teatro plautino.
Ma dietro le maschere topiche si cela una realtà altra: il vero, infatti, non è nell'immagine della realtà, ma oltre.
E come nel ritratto di Dorian Gray lo specchio rivela ciò che è nascosto, nei due dipinti "Nel segno dei Gemelli", esso rivela alla madre/sposa la prostituta, che è in sé, e viceversa.
Ma non sempre è necessario uno specchio per "tradire" quanto è sommerso; il mascheramento per quanto attento e vigile non riesce a contenere la pressione della verità né il senso della vacuità delle convenzioni borghesi.
E appunto si concentra l'attenzione sulla borghesia e sui suoi invadenti orpelli.
Tappeti, divani, tappezzerie, quadri ed oggetti vari ricoprono e rendono asfittici gli interni domestici, mentre monili, stoffe preziose, guanti, medaglie ed altro ancora addobbano i corpi.
Il pensiero ed il sogno di questi esseri scorrono via etere e durano nel tempo quanto l'immagine in tivù. Nel villaggio globale il televisore costruisce e disintegra rapidamente le sue "finzioni", solo la memoria e la coscienza della realtà consentono di denudarne i meccanismi.
Dalla memoria come strumento cognitivo del reale il passo verso la memoria storica è irrinunciabile. Il processo di accumulazione fino al sovrabbondante non si manifesta perciò solo nella quotidianità, ma anche nell'affastellarsi di immagini ormai mitiche e museificate.
Come i personaggi topici di certi ruoli sociali nascondono altro da sé dietro le apparenze, anche le citazioni di opere di iconografie e di linguaggi artistici celebri, divengono altro.
Proprio perché, come ha detto De Kooning "tutti noi fondiamo il nostro lavoro su quadri nelle cui idee non crediamo più", Corallo vuol verificare le fondamenta del fare artistico attuale, mettendolo a confronto con il bagaglio mitico della memoria storica.
Le mutate coordinate conducono ad uno spaesamento ambiguo. Il desiderio di ripercorrere sul filo della memoria la magia di alcuni capolavori, si scontra con l'impossibilità di aderirvi. E come nei sogni il riferimento alla realtà si traveste di simboli, che si combinano o si sovrappongono, così queste citazioni sono contaminate; le immagini originarie divengono, quindi, qualcos'altro.
Dietro al neoclassicismo di certi impianti prospettici e della frontalità iconica, si manifesta un profondo anticlassicismo. Le scacchiere dei pavimenti divengono piani pericolosamente inclinati o persino, come nella "Regina con frutta", abito optical.
Il romantico ed aereo fluttuare di certe figure di Chagall diviene nelle sue citazioni grottesca massa di forme che gravano sul sofà. Ma ogni volta la citazione assume valenze diverse, si va, infatti, dal "recupero", quasi con fare archeologico, di un'iconografia rinascimentale sacra per connotarla di significato mondano alla citazione più diretta, ma non per questo meno straniante del quadro nel quadro.
Fra le numerose figure impietrite, spersonalizzate e grottesche anche nel loro erotismo volgare, si fanno varco alcune figure femminili, sensuali come felini, talvolta maliziose od assorte.
Nella complessa ambiguità dei simboli queste donne, rapite in pensieri e sogni intimi, sono forse le muse ispiratrici del "nuotatore", che spesso attraversa il campo superiore del dipinto.
Una distesa d'acqua, paesaggi dechirichiani o sironiani costellano al di là della linea d'orizzonte questo "cielo di aspirazioni frustrate, di spazi impraticabili.
Dietro l'apparente semplicità anti-intellettualistica del racconto si celano complessi riferimenti in un continuo rinvio e ribaltamento dei significati. Anche l'assoluta fedeltà ai valori della pittura rappresenta un contraltare dissacrante, con cui Corallo impagina e costruisce le immagini.
E come nel trattare variamente la materia cromatica (dalle levigatezze dei volumi à plat fino alle modulazioni arabescate o seriche del colore) si lascia andare al piacere della materia stessa e del fare artistico, così nella sua analisi critica della società lascia il varco alla bellezza. Perciò la citazione della "Venere allo specchio" di Velasquez provoca quasi un momento di struggente malinconia, un "istante" di grande intensità nello specchio sinistramente deformante della società consumistica.
Non stupisce perciò che un pittore con ascendenze dal pop inglese sogni di essere invitato "A cena in casa del Sivigliano", il padre del quadro nel quadro.

Toti Carpentieri

Infiniti sono gli interrogativi alla radice del testo, e sovente nell'ambito del personale, in un crearsi problemi, scrupoli ed altro: tanto complessa è la definizione dell'ignoto. Ricordare e riaffermare, fino a che punto è mera esibizione? e da quale momento si intravvede la "necessità" del riferimento? e con quale finalità? e verso quale prospettiva?
E se è vero, come è vero, che "la realtà non si forma che nella memoria", come diceva Marcel Proust, è altrettanto veritiero che quest'ultima può articolarsi in una movimentazione che dal privato e personale, si sposta facilmente verso il genere e il collettivo; consentendo all'artista e questo è proprio il caso di Giovanni Corallo modalità espressive e riferimenti analogici.
Come in questa mostra, per giunta. Corallo parte da un passato accertabile il suo e quello della stessa storia dell'arte conferendo alla memoria un ruolo organizzatore: di immagini, di idee e perfino di coscienza, inventando una sorta di percorso iconico - il "senso" dell'opera/quadro che nell'omologazione riafferma il rapporto che la pittura ha sempre avuto con se stessa, calandola in un contesto d'attualità, anche intermediale (l'immagine del dipingere, ed il suo “essere immagine", in tivù, tra ironia, paradosso e affermazione.
E il mondo che è dentro di noi, alla fine, esercita una sottile e piacevole pressione verso l'esterno, in un affollarsi di personaggi, oggetti, ambienti, atmosfere, e in un linguaggio talvolta anche ambiguo, ma sempre legato al senso ed alle modalità della pittura.
Perché Corallo, continua e rimane pittore, ieri in certi assemblaggi talvolta anche "metafisici", ieri l'altro nella riproposta del mimetismo figurale, oggi in questa assimilazione intelligente che si “mette a nudo" nelle forme e nel colore, nelle immagini e nei riferimenti, oltre che nei contenuti.
La casa rosa, a questo punto, non è soltanto il pretesto momento iniziale di una mostra nella spazialità barocca, ma anche il luogo privilegiato, in cui giocare a meglio l'avventura degli opposti, nell'irrealtà cangiante dei colori, e nell'alternarsi contemporaneo di segni e figure, come in un intrigo che, però, non dice e non svela.
Giovanni Corallo ha dalla sua la “tradizione italiana” e non solo quella, e con essa, o meglio con i codici della pittura (il loro trasfigurarsi e modificarsi), inventa un "gioco" non privo di turbamento, al limite della visionarietà e della storia, in cui la citazione" in quale altro modo chiamar certi archetipi, certe figure, certi oggetti, oltre che certaltri simboli che appare quale l'estrema estremità (ci sia consentito il calembour) del concettualismo.
E il "mistero" è nella stanza privatissima, scenario e luogo del gioco (la sua implicita serietà, ed il rigore delle "sue" regole), in cui nel rincorrersi di prospettive interne, le figure - interscambiabili nei ruoli, e talvolta perfino trasformabili manifestano la loro "voglia di poesia" in un alternarsi di pause, di riferimenti (anche quel nuotatore che attraversa la superficie dell'opera, come in una fuga dal quadro, tra onde assolutamente non sinusoidali) e di volute ambiguità. La ripetizione è, del tutto, differente, nell'audacia di una “sperimentazione" razionale che non può, e non vuole, prescindere dalle questioni estetiche implicite nella pittura.
Si avverte, allora, il senso dell'apparizione, e quella sorta di elaborazione manipolazione dell'immagine sempre e ben leggibile, però progressivamente sviluppata fino alla deposizione delle tracce.
Dal mito al recupero del classico, alla riconoscibilità perfino fisionomica talvolta di figure e di emozioni.
“Fermi in posa!", grida il fotografo cacciando la sua testa sotto il panno nero, mentre la coppia (sposi o amanti, che importa) si libra sul labirinto di rovine e tappezzeria, di cavalieri e di dame, di trompel'oeil e levigate sensualità.
Non c'è improvvisazione e non occorre barare (anche il linguaggio si adegua e si riferisce al pretesto del gioco), in quanto gli spazi fisici e mentali si popolano con immediatezza dell'esercizio della pittura, ovvero della messa a nudo del momento simbolico al di là dello stesso linguaggio. Fino a Narciso, o meglio al suo essere in diciassetteepassapollici.
Ma lo schermo, non è anch'esso un quadro?
E lo sguardo si rifà turbolento, oltre ogni conformismo levigato, nella riproposta di quell'antica "audacia” tutta personale che si fonda nuovamente sulla memoria mito, archetipo, scrittura e comunicazione. Ci pervade un sottile erotismo. La casa rosa è abitata dal desiderio. E tutto in tivù.