" Il gioco delle parti, la parte del gioco, il simbolo come costume. Da qualche tempo Giovanni Corallo procede per tematiche. La pittura entra nel sociale, diventa in qualche modo, satira sociale, si storicizza politicamente nella critica del costume. Già parlò di "Regine Perdute". Ora rivivono gli "Interni Con S'ignora" come una staffilata a talune nobili dame un equivoco glottologico un gioco lessicale della parola che si autotraduce in ipotesi FORMALE E CROMATICA... "
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" Il costrutto della memoria è giocato nel labirinto delle personali ricerche iconografiche, arricchite di un affabulante e fantastico modo di vedere più che le cose, il cuore di esse, la loro anima bizzarra, la loro capacità di metamorfosare e raggiungere, quindi, il ruolo di simbolo, ora vestito di metafisici sapori, ora, esaltandolo attraverso la tendenziale ricerca di una classicità interiore. Giovanni Corallo vuol raccontare tutto questo con le sue "Regine Perdute... "
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" Tra il fascino citazionistico e la rivisitazione critica, in chiave di memoria culturale di un rinascimento "secondo", l'artista leccese Giovanni Corallo sceglie di "ritrovare" le Regine Perdute al fine di additare loro un nuovo trono, una nuova regalità; nel contesto di una pittura colta che doni e restituisca loro quell'opulenta immagine di ricca suggestione che caratterizzò una stagione importantissima dell'arte internazionale... "
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Il gioco delle parti, la parte del gioco, il simbolo come costume.
Da qualche tempo Giovanni Corallo procede per tematiche.
La pittura entra nel sociale, diventa in qualche modo, satira sociale, si storicizza politicamente nella critica del costume.
Già parlò di "Regine Perdute". Ora rivivono gli "Interni Con S'ignora" come una staffilata a talune nobili dame un equivoco glottologico un gioco lessicale
della parola che si autotraduce in ipotesi FORMALE E CROMATICA.
Appaiono, assise, sdraiate le SIGNORE (ignare) opulente e sensuali, altere, invitanti, a volte distaccate, sorde, maliziose nel cui gioco intervengono, spesso I SIGNORI (che ignorano) e raramente il nucleo familiare.
Il primo piano è lo specchio psicologico (ma anche formale) sociale, dominato dalla figura femminile che non raramente occupa l'intero campo visivo del quadro come autentiche Pomone dispensatrici di frutti voluttuosi,
offerti in coppe in sostituzione della cornucopia.
Gli elementi della pittura sono là nello scenario, fra le quinte, come un mondo stabile, come una certezza visuale che sostiene il rapporto fra la scena e l'artefice (il pittore) dando la possibilità a chi guarda di percepire le sovrapposizioni formali e cromatiche, in analogia alle sovrapposizioni del costume e del rapporto sociale.
Uno schema su cui si impernia, da tempo, la pittura di Giovanni Corallo e che, in un certo modo, stabilisce un'autentica novità, non solo qui nel Salento.
In questo gioco, i cui elementi della vera pittura sono presenti, Corallo si accosta alla contemporaneità della storia dell'arte di questo periodo che, pur con le sue molteplici tematiche e problematiche, con le sue prospettive, conserva una sua autentica fisionomia che la caratterizza.
L'uso del colore è, a volte, timbrico (direi quasi sempre) più raramente tonale.
Ricordiamo, per inciso, che Corallo fa parte di quei pochi "sperimentatori" che, negli anni 6O, a Lecce, formarono un piccolo nucleo che non ha mai cessato di caratterizzare in maniera evidente la "ricerca". Quella che io in altra sede individuavo come emergente, in un certo modo, nel Salento. Pur non essendo in senso assoluto "avanguardia" si innestava, con evidenza, al carattere nazionale di quel tempo.
Il costrutto della memoria è giocato nel labirinto delle personali ricerche iconografiche, arricchite di un affabulante e fantastico modo di vedere più che le cose,
il cuore di esse, la loro anima bizzarra, la loro capacità di metamorfosare e raggiungere, quindi, il ruolo di simbolo,
ora vestito di metafisici sapori, ora, esaltandolo attraverso la tendenziale ricerca di una classicità interiore.
Giovanni Corallo vuol raccontare tutto questo con le sue "Regine Perdute.
Lo sguardo della donna, sia essa regina sia essa madonna, in ogni caso è vivo nella sua ambiguità: nella malizia e nel canto erotico o ancora lungo la sua interiore e favolistica rimembranza di un passato infantile ed extracorporeo che esalta le qualità medianico-evocative che le "Regine" di Corallo posseggono ancestralmente.
Eppure dalle ricerche condotte fin dagli anni '60, attraverso studi che mescolavano i termini linguistici con quelli schiettamente pittorico-grafici, dalla ricerca di materiali singlossici, all'azione di laboratorio e da quella suggestione ai problemi che furono cari all'avanguardia, Giovanni Corallo ne trattiene l'atmosfera primordiale. Egli stesso dichiara di ricordare con piacere il suo "entusiasmo giovanile per le avanguardie e i lunghi dialoghi notturni con uno stretto gruppo di amici e la conoscenza di personaggi come Eugenio Miccini e Marcello Venturoli che tanto hanno influito sulla formazione artistica".
Una formazione che si consolida in Corallo verso una direzione che solo apparentemente (o almeno nei terreni tecnici) si allontana da certe sperimentazioni. Nella sensibilità dell'artista di Lecce, tra l'altro raffinato insegnante, si stratificano le lezioni sulla pittura rinascimentale e soprattutto riferimenti e suggestioni che vanno da quella cultura favolistica simbolico-surreale di uno Chagall sino alla ridondante e barocca espressività di un Tono Zancanaro, non tralasciando, in alcune "nuance" operative, suggerimenti metafisici tanto cari alla cultura di De Chirico. E non sono, tra l'altro, lontani gli echi di una disposizione cromatica ambientale che ci ricordano la decorazione indiana o ancora quella ricchezza pigmentaria che si muove con una certa sapienza tra modelli arcaicizzanti delle figure e moduli a carattere astratto.
La donna è per Corallo vero e proprio labirinto della memoria, la sua malinconica bellezza non è altro che un simbolo della propria corrosiva inquietudine. Il tempio dei suoi sogni, si veste di tramonti infuocati o di nature morte che illuminano il cielo dell'assenza.
Questo discorso dell'artista leccese vive di "quelle tesi antropocentriche esistenziali" già accennate da Bruno Leo, soprattutto, nel rapporto che si stabilisce tra materia pittorica e segno, una sinergica interdipendenza, dove, all'ambiguità si contrappone l'esistenzialità.
Questa esistenzialità o questo modo di essere elemento vivo della natura umana, dimensione del desiderio, Corallo tenta di raggiungere attraverso gli inerpicati sguardi delle sue "Regine", fissi nel vuoto accattivante di un crepuscolo.
Tra il fascino citazionistico e la rivisitazione critica, in chiave di memoria culturale di un rinascimento "secondo", l'artista leccese Giovanni Corallo sceglie di "ritrovare" le Regine Perdute al fine di additare loro un nuovo trono, una nuova regalità; nel contesto di una pittura colta che doni e restituisca loro quell'opulenta immagine di ricca suggestione che caratterizzò una stagione importantissima dell'arte internazionale. I drappi, i tappeti, le collane, gli oggetti della regalità; affiorano su damascati e intensi giochi decorativi, mentre l'immagine femminile domina, con alterigia, la complessa architettura compositiva e la magica finalità cromatica di Giovanni Corallo.