Mostra | del 2014

Ritratti & Ritratti

Cura della mostra Toti Carpentieri

Progetto Grafico: G.Korallo, S. Fanciano e B.Leo

Toti Carpentieri

Anche "Percorsi paralleli”, questa mostra che rivede insieme Giovanni K(C)orallo, Salvatore Fanciano e Bruno Leo, nasce dal concetto della continuità del tempo e da una modalità d'indagine che ci porta, partendo dal presente con lo sguardo rivolto all'indietro, ad attualizzare il passato, riconoscendo ad esso il giusto ruolo intuitivo ed anticipatorio. Liberandolo, altresì, da tutte quelle sovrastrutture che spesso si sovrappongono tra loro per compiacimenti personali, per situazioni incontrollabili e per inserimenti altri, cui solo il tempo, appunto, riesce a dare il giusto riscontro e il giusto valore. E questo tenendo conto che di questi percorsi siamo stati coprotagonisti per un affascinante anche se non lunghissimo periodo, e attenti testimoni per tutto quanto il tempo restante, fino ad oggi.
Ma come possono definirsi paralleli dei percorsi che per assunto non dovrebbero mai incontrarsi e che, invece, per ben due volte si intersecano tra loro, concretizzando la virtualità dei tracciati diagonali, per poi continuare nella loro distinguibile autonomia di navigazione e di ricerca, ed essere pronti anche ad ulteriori intersezioni? dire il vero ciò è possibile, non solo per quella constatazione reale e tangibile che nel Prisma gruppo prima e nel Centrogramma poi trova la sua misura nella condivisione dell'idea e la sua concretezza nell'operatività dei tre artisti, ma ancor più riferendosi (quanti e quali i rapporti tra arte e scienza!) agli enti geometrici impropri e alla geometria euclidea, partendo dalla dimostrazione per assurdo del teorema delle rette parallele. Ed è la geometria proiettiva a convalidare il paradossale, rammentando che se è il punto improprio (ovvero il punto all'infinito di una retta) a determinare la direzione della stessa retta, e quindi del percorso, ne consegue che tre rette parallele che hanno la stessa direzione, proprio in quanto parallele, hanno in comune lo stesso punto improprio, e quindi si incontrano all'infinito. O partono da esso? Anche se poi sorge un nuovo quesito.
Ovvero, essendo tutto relativo, come comprendere dove e quale sia, in arte, il punto dell'infinito. E quindi chiedersi se lo stesso possa replicarsi nel tempo. Cosa comprensibile nella teoria degli insiemi, correlando il concetto di infinito con la nozione di limite e riferendosi alla teoria dei numeri cardinali transfiniti di Georg Cantor e alla conseguente possibilità di distinguere, nel tempo, differenti gradi di infinità.
Tutto ciò premesso, e nella tangibile continuità della relazione tra arte e scienza (vuoi nella teoria, che nella prassi), il velato ossimoro che emerge dalla lettura di questa mostra, e dalle sue solo apparenti contraddizioni, tra parallelismi e singolari convergenze, conferma, nel passaggio dalla geometria euclidea a quella iperbolica, l'attualità del paradosso. E quindi la logica concretezza della proposta espositiva e della sua progressiva lettura, muovendosi nelle sale del Castello di Carlo V.
Si parte, pertanto, dall'individuale autonomia espressiva dell'attuale operato dei tre artisti che, ella presa d'atto di un nuovo grado di infinità e nella contemporaneità espositiva della prima sala, tengono a ribadire la loro diversità e la loro emancipazione, quelle stesse che le tre sale successive confermano e ribadiscono (passando dalla mitologia popular di Giovanni Korallo quella C divenuta K nel procedere del tempo sempre più affascinato coinvolto e travolto dagli aspetti tecnologici alla riflessione teologico/esistenziale di Salvatore Fanciano attratto dal mistero della raffigurazione del mosaico di Pantaleone nella Cattedrale di Otranto, alla tangibile presa d'atto di quella duplicità umana che ci vede soggetto ed oggetto di ogni azione che risulta essere il tema dominante della ricerca di Bruno Leo), per poi smentirla o quasi nell'ultima sala, là dove la memoria del Centrogramma e la memoria del Prismagruppo divengono presente del passato, riattualizzando le convergenze.
Ma è sul presente del presente che vogliamo e dobbiamo fermarci, tenendo conto che "Percorsi paralleli” è innanzi tutto un momento di attestazione, nel quale le opere confermano la continuità, la contiguità e la diversità che Giovanni Korallo, Salvatore Fanciano e Bruno Leo portano avanti da ben dieci lustri a questa parte, in un muoversi “fluido” che evidenzia e riconosce le differenze, ma anche le comparazioni e le sovrapposizioni. E subito dopo opportunità di riflessione con il suo muoversi dall'oggi a ieri, e quindi all'altro ieri, ma ancor più attesa per quanto potrà esserci nel tempo futuro.
Ed eccoci all'attestazione.
Legato all'immagine e al suo molteplice manifestarsi in figure e raffigurazioni oggettuali, Giovanni Korallo ci offre oggi una sorta di campionario che mescola insieme la sua storia con le nostre storie, oltre che con quella di tutti, tra chiare riconoscibilità al limite del mito contemporaneo e un affollarsi di stilemi, simboli, marchi che passano dal sacro al profano, dal glamour al ludico, avvalendosi nella costruzione dell'immagine della ri/produzione fotografica, talvolta perfino ripetuta e financo iterata nell'ovvia volontà di sollecitare riflessioni immediate e falsi movimenti, anche e soltanto percettivi. Attingendo, talvolta, a quelle presenze oggettuali degli anni Sessanta ed oltre, qui divenute figure dipinte e talora anche animate che raccontano sempre più spesso di storie yankee, quelle stesse forse all'origine del filoamericanismo che cemento i quattro ragazzi del Prismagruppo e che qui permane in maniera metabolizzata, riflessiva e pensata. Come ben evidente anche nel lettering, ancora una volta (rammentando l'ambito visualpoetico di Gramma) tra il recupero, il didascalico ed il mnemonico.
Sono ancora immagini quelle che Salvatore Fanciano ci propone nella sequenza di questo suo lungo racconto costruito riferendosi in maniera quanto mai manifesta a quel labirinto teologico che è il mosaico della Cattedrale di Santa Maria Annunziata di Otranto opera del monaco Pantaleone. E così, in un esercizio cromatico scandito sovente sul confine del monotono, accade che l'opera, o meglio il suo frammento/tessera (perché questo è lo stato del singolo dipinto), ci parli subito di quelle che sono le suggestioni da cui il pittore è stato sconvolto, e che con facilità trasmigrano verso lo spettatore che si trova come circondato da strutture pittoriche complesse, quelle stesse che rammentiamo di aver visto e condiviso in un suo precedente evento espositivo e che in quest'occasione accentuano la complessità della texture di chiaro riferimento astratto/informale, grazie a certe presenze figurali (reali, fantastiche, allusive) riconoscibili che ci riportano là, sul luogo del mistero e della fede, tra segni, segnali, mostruosità, demoni, leoni, draghi, oli fanti, cavalieri, vergini, figure zoomorfe, angeli e santi, e parole significanti e/o inespressive, palesi e misteriche, ma del tutto comprensibili avendone la chiave tra le mani.
Al pari di quelle di Bruno Leo, pur se secondo direzioni e modi del tutto differenti, non fosse altro che per il suo porsi concettualmente al di qua dell'immagine dipinta/costruita, quasi fosse lo spettatore di un film (o meglio dei suoi stessi frames) facendosi compagno alle tante silhouettes che popolano visioni urbane di grande suggestione e di complessa struttura, tra tagli, ritagli, dipinti ridipinti e atmosfere ad alta rarefazione, al limite del surreale, dell'immaginario e finanche del reale, nel quale sovente identifichiamo senza alcuna difficoltà pezzi di memoria che ci appartengono e che ci emozionano ancora, ben oltre il loro apparente stato di ibernazione. Come quel graffito in campo lungo, il vecchio landeau, la fuga prospettica di un palazzo che ci appartiene, il Buon Pastore del Museo Pio Cristiano di Roma, le sedie thonet disponibili ad accogliere il visitatore occasionale di una mostra infinita, il pittore che ri/guarda le sue opere, lo still life impaginato per contrasti sotto cornici a tutto tondo che ci rimandano al barocco, i cassetti aperti solo a metà da cui (alla fine) non fuoriesce alcunché, esplicitando, in questa sorta di percorso strutturato, l'antica e personale sintonia con la Storia dell'Arte.
Passando alla riflessione con lo sguardo rivolto all'indietro, come abbiamo affermato in apertura del nostro testo, due sono i tempi, quello del Centrogramma e quello del Prismagruppo, l'uno dall'altro distanti ben più di un lustro, ma successivi e conseguenti nel tempo. Sulle origini del primo come si legge in "Gramma" pubblicato dalle Edizioni del gallo indico nel milenovecentottantatre scrivevamo che esse "vengono da lontano, e trovano, o meglio ritrovano tre dei gruppo, vuoi nella teoria, che nell'attuazione della stessa: sistematicità, univocità, unitarietà del starsi come compendio ed insieme delle forme e delle regole di una corretta espressione della lingua (arte intesa come lingua), o meglio di una lingua (arte come arte, e basta), o ancora, unità di misura da cui partire per quella che deve intendersi come una misurazione strumentale, sorta di apparecchio apparentemente impossibile per legare, impastare, mescolare quelle che devono esserle che sono le regole dell'arte. Non dimenticando, mai il singolo, e con esso le sue medesime significazioni e quella libertà estrema, che nel momento dell'idea, supera lo stesso gruppo, fino a ribaltarne il significato, anche se l'operazione/lavorazione continua ad essere fatta di comune intesa/accordo in una comunione' di spazio e di coincidenze, di stimoli e, perché no, di soluzioni; anche se queste appaiono poi slegate e differenti, nella loro più immediata fruizione.
Probabilmente, questo è gramma; una realtà soggetta a continua rivisitazione e lettura, da chi fa e da chi guarda il 'fatto", inteso come prodotto: sociale ed estetico, senza che l'uno aspetto escluda, necessariamente, l'altro." Ecco allora le bambole metafisiche di Giovanni Corallo con le sue scritte ei suoi veli di plastica, le circolarità allusive che partono dall'uomo e giungono all'uomo di Salvatore Fanciano e l'itinerario aperto di Bruno Leo tra suoni e sensitività allargate fatte di tempi e di immagini. Il che vuol dire, riconoscere al Centrogramma un'unitarietà solo apparente, oltre che una sorta di struttura associativa/comunicativa/letteraria (il rapporto con Firenze e con Techne, con la poesia visiva, con la pittura/scrittura e con l'esoeditoria) che si manifesta ed attualizza in una chiara dimensione rivoluzionaria, ma non più pericolosa. Quanto al Prismagruppo e al suo tempo, ci piace rammentare che erano gli anni in cui le gioventù di Giovanni Corallo, Salvatore Fanciano e Bruno Leo, oltre che di chi scrive (al tempo stesso artista e teorico), spingevano a ritrovarsi nel gruppo, nel tentativo di poter dare risposte ai dubbi comuni, e di orientarsi nella ricerca dell'agognata e complessa chiarezza espressiva. Superando quell'inquietudine e quell'insofferenza a precostruiti schemi creativi di cui scrivevamo nel catalogo/oggetto edito per "PG '64" nel maggio del millenovecentosessantacinque, identificando nel reperimento dell'oggetto e nel suo utilizzo lo status esistenziale dell'opera stessa (nella permanente dimensione del quadro), lasciando ad altri l'autonomia del giudizio su quanto proposto, e riconoscendo al critico/ideologo (ancora e profondamente artista) un ruolo catalizza vuoi per la sua formazione che per le sue informazioni, tra momenti espositivi e testimonianze sul campo, ovvero tra immagini e parole, l'une e l'altre divenute poi emergenze oggettuali. Scrivevamo, infatti, "che l'oggetto è in quanto esiste”, che "nella riproduzione pittorica di sé stesso l'oggetto perde la sua vita, è come un morto in fotografia", e "che perché un quadro esista realmente, esso ha bisogno della vita dell'oggetto". Come ben evidente nella surrealtà dei ritrovamenti e nell'ironia dei messaggi di Giovanni Corallo tra bambole smembrate, tovaglie a quadri di metafisica allusione e scatolette alimentari dal contenuto a sorpresa; in quell'alternarsi equilibrato dei bianchi e dei neri di fondo su cui Salvatore Fanciano posizionava fotografie, frammenti, tracce di vita che parlavano di sé e di altri; nella suggestiva e rigorosa costruzione narrativa di Bruno Leo in un rincorrersi curvilineo interrotto da specchi rotti, pericolosi frammenti metallici e rassicuranti riferimenti culturali. Oltre che nelle opere dell'artista/teorico sempre mobile sul confine tra arte e scienza, tra nuovi e antichi amori, e artefice di suggestioni/illusioni formali quali il possibile abbraccio della donna Max Mara oggettualizzata dalle rosee mani in cartapesta che fuoriescono (ancora) dal quadro. Il tutto in quel memorabile evento del ventuno aprile millenovecentosessantaquattro, giocato tutto nella ricerca del "coinvolgimento immediato del pubblico grazie ad una comunicazione visuale caratterizzata da ermetiche presenze linguistiche e dall'impronta come intervento" (il mistero del mistero di una mano nera indicante), e quindi da quel suo articolarsi non solo secondo una molteplice ma ben definita scelta dei temi: l'amore, la politica, congiunzione tra pensiero e realtà, i ricordi, omaggio, ma anche, come abbiamo scritto per "Foto di gruppo", una delle tre sezioni di “Lavori in corso. Corpo 1", la rassegna che ha dato il via all'avventura espositiva del MUST, “in una sorta di happening/environment embrionale e interdisciplinare caratterizzato dall'utilizzo sincrono della luce e del suono, tra Beethoven, Borodin, Listz, Nono e Schomberg." In relazione all'attesa, infine, e tenendo bene a mente quella particolare scenografia di cui scrive Roland Barthes nel suo “Frammenti di un discorso amoroso", non possiamo non convenire con quanto affermato da Cesare Pavese ne “Il mestiere di vivere" ovvero che “Aspettare è ancora un'occupazione. È non aspettar niente che è terribile", convinti come siamo per dirla con François de La Rochefoucauld che "l'attesa attenua le passioni mediocri e aumenta quelle più grandi”.
E questa dei “Percorsi paralleli”, alla fine, è una storia di straordinarie passioni.

Informazioni:

Nazione di Esposizione: Italia

Città di Esposizione: Lecce

Museo di Esposizione: Castello Carlo V - Lecce

Mostre successive

Galleria

Critiche artistiche

Paolo Perrone

" Per questo nuovo incontro con l'arte contemporanea il Castello di Carlo V ospita nelle sue prestigiose sale le opere di Salvatore Fanciano, Bruno Leo e Giovanni Korallo, prota gonisti di quell'avanguardia artistica che nel 1964, sotto il segno del “Prismagruppo"... "

Luigi Colcite

" La mostra “Percorsi paralleli”, che Toti Carpentieri cura nel Castello di Carlo V, vuole testimoniare il lungo e complesso itinerario creativo di Salvatore Fanciano, Bruno Leo e Giovanni Korallo partendo dall'attualità del loro singolo operare, nel rispetto dell'individualità dell'artista, ma mettendo in evidenza quelle collaborazioni reciproche e quelle...

Paolo Perrone

Per questo nuovo incontro con l'arte contemporanea il Castello di Carlo V ospita nelle sue prestigiose sale le opere di Salvatore Fanciano, Bruno Leo e Giovanni Korallo, protagonisti di quell'avanguardia artistica che nel 1964, sotto il segno del “Prismagruppo" e con la complicità di Toti Carpentieri, oggi nel ruolo di curatore della mostra, seppe incuriosire una realtà per molti versi indifferente ed insensibile, e che nel 1970 con il “Centro Gramma” rinnovo curiosità ed attenzioni per i rapporti con Eugenio Miccini e il mondo della poesia visiva internazionale.
Tra percorsi individuali e momenti di operatività collettiva, “Percorsi paralleli" propone cinquant'anni di creatività di tre artisti che ancora oggi confermano il rigore e la vivacità della loro ricerca.

Luici Coclite

La mostra “Percorsi paralleli”, che Toti Carpentieri cura nel Castello di Carlo V, vuole testimoniare il lungo e complesso itinerario creativo di Salvatore Fanciano, Bruno Leo e Giovanni Korallo partendo dall'attualità del loro singolo operare, nel rispetto dell'individualità dell'artista, ma mettendo in evidenza quelle collaborazioni reciproche e quelle sintonie che cinquant'anni fa diedero vita al “Prismagruppo” e alcuni anni dopo al “Centro Gramma”, rivendicando alla gente di questa terra precise intuizioni e notevoli capacità operative all'interno della globalità dell'arte. Una storia, quindi, che ci piace condividere con tutti quanti vorranno varcare la soglia del maniero di Giangiacomo dell'Acaya, da sempre luogo di vicende umane e di arte.