Tangos| 2003

Esposizione speciale per l'annuncio della grande svolta nella tecnica pittorica di Giovanni Korallo

Giovanni Biagioni

Direttore Istituto Italiano di Cultura di Lisbona

Tentare di offrire, sia pure diluita nel tempo, una visione anche estremamente sommaria del composito e variegato panorama dell'arte attuale è compito praticamente impossibile. E vale per l'arte italiana come per quella di qualsiasi altra realtà geo-politica e culturale. L'eclettismo pilistico, le rivisitazioni di stili e tendenze, la caduta di barriere, demarcazioni, definizioni, la difficoltà di individuare filoni trainanti sufficientemente definiti, l'estrema varietà dei mezzi espressivi, e via dicendo, non tollerano riduzioni didascaliche. Difficile quindi, per tutti gli addetti ai lavori individuare criteri di selezione degli artisti che rispondano a una qualche seria e minimamente esauriente oggettività espositiva. Perché allora Giovanni Corallo all'Istituto Italiano di Cultura di Lisbona? Innanzitutto per ché è una scommessa sicura in termini di qualità. In secondo luogo perché è una scommessa altrettanto sicura in termini di gradimento da parte del pubblico portoghese. Il rigore e la mae stria formale, uniti alla ricchezza di suggestioni, alla sottile e intelligente poetica ironia con cui illustra la realtà, la sua lettura disincantata e dolcemente feroce della nostra epoca, degli uomi ni e delle donne che la popolano, con i loro pensieri, i loro vizi, i loro atti quotidiani, i loro sogni, giá estremamente accattivanti nella sua produzione precedente, vengono affinati ed... affilati nella mostra presentata presso l'ex Conservatorio di S. Anna della sua Lecce natale e ora transitata a Lisbona. "Tangos" apre effettivamente un nuovo ciclo nella sua pittura, caratteriz zato da forti implicazioni tematiche e stilistiche. L'attenzione prestata a momenti di grande attualità quali la crisi argentina e le attuali gravi contingenze della società statunitense e glo bale è infatti sottolineata dalla sostituzione degli oli agli acrilici e ai pastelli, con l'introduzio ne di colori volutamente più contenuti in quanto più consoni alla tristezza ("saudade"?) che ora pervade i suoi quadri, e che paradossalmente viene ancor più sottolineata dall'introduzio ne forte del movimento in sostituzione di una certa precedente ieraticità. Si affina e affila anche la sua intelligente ironia, come già il titolo prescelto ci dimostra. Chiedetevi, visitando la mostra, perché un titolo unico a due realtà apparentemente così diver se, perché quel "Tangos” al plurale. In altri termini, cosa accomuna i dipinti dedicati al tango argentino e quelli a tematica statunitense e a valore globale?

Informazioni:

Nazione di Esposizione: Portogallo

Città di Esposizione: Lisbona

Museo di Esposizione: Istituto di Cultura Italiano - Lisboa

Mostre successive

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Critiche artistiche

Dario Ersetti

" Negli ultimi anni si era dedicato al genere che conosciamo, corpi femminili altezzosi e orgo gliosi della loro femminilità spesso scoperta, uomini altezzosi e orgogliosi della loro mascoli nità nei loro vestiti rigorosi, musicanti dai seni opulenti, regine perdute, nel loro erotismo. Figure un po' in vetrina, a mostrare un certo tipo di società, una certa classe sociale. Nella spe ranza che, mostrando, si potesse cambiare.... "

Marcello Sacco

" Due giovani si abbracciano e si baciano su una Lambretta, ma l'arto del ragazzo sembra prolungarsi nel minaccioso braccio armato di un terrorista alle loro spalle. Una signora porta a spasso un buffo cagnolino a pois che fa pendant con il cappotto leopardato di un'altra signora che la incrocia venendo in senso contrario, questa però ha uno strappo che le lacera il corpo e lascia intravedere una scritta rosso vivo... "

Dario Ersetti

Negli ultimi anni si era dedicato al genere che conosciamo, corpi femminili altezzosi e orgogliosi della loro femminilità spesso scoperta, uomini altezzosi e orgogliosi della loro mascolinità nei loro vestiti rigorosi, musicanti dai seni opulenti, regine perdute, nel loro erotismo. Figure un po' in vetrina, a mostrare un certo tipo di società, una certa classe sociale. Nella speranza che, mostrando, si potesse cambiare.
Korallo per ottenere quell'atmosfera usava colori tirati, acrilico e tempera, e così la corposità non era nella materia ma solo nell'immagine. E negli occhi di chi guardava. Adesso Korallo ha iniziato un nuovo ciclo della sua pittura.
Olio su tela, tecnica diversa per esprimere un'atmosfera diversa. I personaggi appartengono a una diversa classe sociale, sono ballerini e musicanti, la musica è il tango, l'ambiente è il "dopolavoro", loro sono operai e fidanzate e mogli di operai, la bevanda è il bicchiere di vino. Korallo ha capito che non si può cambiare il mondo dipingendo una società o un ambiente sociale. Ha capito che non si può cambiare il mondo. E dopo aver raggiunto questa consapevolezza ci si può solo dedicare a quella cosa tristissima che è il tango.
I ballerini di Korallo sono gli operai di Sironi che si divertono, dove divertimento non è la gioia del samba ma la seriosità drammatica del tango, del bandaleon, dell'eleganza nel vestire da barbiere napoletano di fine 800, ricercato e kitsch.
E per questo tipo di atmosfera Korallo ha scelto la pittura a olio che, con i suoi tempi, per la lentezza dell'asciugatura, per la difficoltà di operare velocemente, contribuisce a rallentare l'azione fino a fermarla, cristallizzarla nell'attimo in cui la ragazza solleva la gamba scopre il polpaccio e si sente in paradiso sorretta dal fidanzato vestito elegante. Non è la società di oggi quella dipinta da Korallo, forse un mondo parallelo. È tristezza ricordo emozione stato dell'anima. Se c'è anche speranza io non la vedo.

Marcello Sacco

Due giovani si abbracciano e si baciano su una Lambretta, ma l'arto del ragazzo sembra prolungarsi nel minaccioso braccio armato di un terrorista alle loro spalle. Una signora porta a spasso un buffo cagnolino a pois che fa pendant con il cappotto leopardato di un'altra signora che la incrocia venendo in senso contrario, questa però ha uno strappo che le lacera il corpo e lascia intravedere una scritta rosso vivo: è la scritta inconfondibile della Coca Cola e anche lei non è che un'immagine pubblicitaria. Sono due dipinti della serie "Paesaggio metropolitano", del pittore salentino Giovanni Korallo, integrati in un'esposizione che, a dispetto del titolo monotematico, Tangos, sovrappone le due più recenti ossessioni parallele dell'autore: il ballo argentino, appunto, ma anche le strade cittadine viste sempre con l'occhio dell'ex militante Pop Art. Così la realtà che cammina per strada (a quattro o a due zampe) si mescola e si confonde con la sua riproduzione fotografica della cartellonistica stradale che compone l'orizzonte figurativo più comune nel nostro paesaggio urbano. La pittura di Korallo, almeno in questa sua fase recente, testimoniata da un'esposizione che a Lecce è già stata vista l'anno scorso, al Conservatorio di Sant'Anna, e che dal 15 al 27 maggio gioca fuori casa, in mostra a Lisbona nelle sale dell'Istituto italiano di cultura, è una pittura a "focali lunghe", come il cinema di Almodòvar, che schiaccia gli oggetti e le persone sul fondo lasciando poche vie di fuga alla profondità di campo. Una pittura in cui l'animato e l'inanimato possono confondersi e sovrapporsi, ma l'uomo non si perde mai di vista, anzi, è sempre (s)oggetto principale di una composizione figurativa che non si dilunga in descrizionismi, che non contempla paesaggi sconfinati e, quando li contempla, non se ne lascia intenerire troppo. Korallo rivendica una pittura non regionalista, una pittura senza radici scoperte, del tipo facile da etichettare e sdoganare con un marchio d'origine controllata. Il filo dell'orizzonte delle sue campagne non ha muretti a secco, ma è attraversato dalle linee nervose dei corpi di più o meno improbabili ballerini di tango - ora energici, ora sonnolenti, schiacciati dal peso di passioni immaginabili, quelle di sempre - che il loro autore ha imparato a osservare, confessa, grazie ai canali televisivi digitali. E dove sono stati immortalati questi suoi paesaggi metropolitani? Potrebbero appartenere a Lisbona (città mai vista prima di questa occasione) o a Lecce, anche quando il titolo dice: "Strada di New York" (da Magritte in poi abbiamo imparato a essere sospettosi, tra un'immagine e la sua didascalia c'è sempre qualcuno che sta mentendo). Certamente appartengono a un'idea universale (anche se tutt'altro che astratta) di città, chissà se più utopica o più distopica, più ammaliante o più terrificante. Contraccolpi psicologici, questi, che dipenderanno sempre da chi guarda, perché l'aria minacciosa dei volti di uomini e donne che vediamo in Fly with me (un quadro in cui le ombre dei personaggi si ribellano ai rispettivi corpi come anime nere di dannati) potrebbe essere soltanto apparente e ingannevole, proprio come il sorriso rassicurante della hostess sull'ennesimo cartellone pubblicitario affisso alla lunga parete che attraversa tre quarti del disegno e sbarra il passo al nostro frustrato tentativo di guardare al di là. Certo è che la grande città continua a essere tutto e il contrario di tutto. Tentacolare, ha la chioma velenosa della Medusa e pietrifica ancora chi la degna di uno sguardo